La più influente e longeva figura politica europea contemporanea, che ha giocato un ruolo cruciale nelle principali scelte degli ultimi anni, si appresta a lasciare la carica e un vuoto che non sarà presto colmato, né in Germania né in Europa. Nonostante la sua indiscutibile centralità, in Italia la Cancelliera è ancora conosciuta in modo approssimativo e ci si riferisce a lei sulla base di stereotipi stantii e superati. Un saggio appena uscito analizza la sua lunga carriera e ne ricostruisce, con competenza e oggettività, la matrice culturale e la sua capacità di operare scelte coraggiose e inaspettate.
Gli autori sono l’ex ambasciatore Sergio Romano, profondo conoscitore della situazione internazionale e uno dei più acuti analisti politici italiani, e suo figlio Beda, corrispondente da Bruxelles del Sole 24 Ore ed esperto di questioni tedesche. La loro capacità analitica si rivela molto utile per il lettore italiano perché, nonostante la percezione generale, il personaggio Merkel è molto più complesso e sfaccettato di quanto si ritiene. A partire dal nome, perché la Cancelliera si chiama Angela Kasner (Merkel è il cognome del primo marito) ed è molto diversa dalla figura della tedescona sovrappeso con l’ossessione dei conti in ordine che molti quotidiani italiani hanno tratteggiato, a partire dall’epiteto irripetibile con cui l’apostrofava l’allora Primo ministro Berlusconi, che non ha mai capito veramente il valore della donna che aveva di fronte. Che piaccia o meno, Angela Merkel, nonostante una certa tendenza all’attendismo, è una leader che ha fatto la storia e ha avuto il coraggio di infrangere il dogma tedesco, ma profondamente condiviso anche a livello personale, che vietava la messa in comune del debito che avrebbe accomunato le operose formichine nordiche agli inaffidabili e spendaccioni stati del Mediterraneo (con l’Italia in prima fila).
La ragazza venuta dall’Est
Prima di essere una politica, la Cancelliera è una scienziata con laurea in fisica all’università di Lipsia, un dottorato in chimica quantistica e una forte volontà di eccellere. Nata ad Amburgo nel 1954, Angela cresce nella Germania comunista dove il padre, pastore protestante, si era trasferito per fare apostolato tra la popolazione, molto influenzata dall’ateismo di stato. Quando le chiedevano quale fosse la professione del padre, lei farfugliava qualcosa a metà tra Fahrer (autista) e Pfarrer (pastore), in modo da evitare troppe curiosità. Poco prima del crollo del muro, la giovane scienziata, che aveva maturato anche una forte passione per lo studio della lingua russa che parla correntemente, milita in un movimento appena sorto, il Demokratischer Aufbruch (Risveglio democratico). Il gruppo, sostenuto dalla chiesa protestante, aveva attirato soprattutto intellettuali ed era considerato quasi elitista. Alle elezioni legislative del marzo del 1990 il partito ottenne soltanto l’1 per cento dei voti perché Wolfgang Schnur, il leader del movimento, era stato accusato di collaborazionismo con i servizi segreti. Questa sarebbe potuta essere la fine della carriera politica della futura Cancelliera, e invece le offrì la possibilità di entrare nel potente partito democristiano, dominato da Helmut Kohl, il padre della riunificazione tedesca.
Una Germania riunificata faceva paura a molti e diversi politici espressero chiaramente il loro disappunto (il francese Mitterrand e Giulio Andreotti tra gli altri) ma Kohl rifiutò ogni ipotesi di federazione tra le due Germanie e puntò coraggiosamente a uno stato unitario che, tecnicamente, consisté in una vera e propria annessione dei cinque Länder dell’Est. Fondere uno stato capitalistico avanzato e uno comunista era un’operazione di grande difficoltà e gravata da rischi enormi. Contro i suggerimenti della banca centrale, Kohl decise una riforma monetaria che aveva il merito di mettere i due Paesi sullo stesso piano: la conversione uno-a-uno tra il Deutsche Mark e l’Ostmark. La mossa era rischiosissima ma si rivelò vincente perché “politicamente i cittadini della ex DDR furono trattati alla stregua dei loro compatrioti, ma economicamente la scelta provocò disoccupazione, emigrazione e la chiusura di decine se non centinaia di imprese la cui produttività era bassissima, incompatibile con i livelli occidentali. L’impegno finanziario fu gravoso”. Un aspetto collaterale di questa strategia era la necessità di cooptare politici provenienti dai territori dell’Est. Angela aveva molte qualità che la rendevano adatta a una carriera nazionale: era donna, giovane, figlia di un pastore protestante, il che rassicurava i più conservatori. Cresciuta alla scuola egualitaria della Germania comunista, suscitava anche le speranze delle associazioni femministe. Kohl la soprannominò Mädchen (ragazza) e ne fece la sua pupilla.
Dotata di una volontà incrollabile, di una strabiliante capacità di lavoro e di una puntigliosità che le dava una padronanza assoluta di tutti gli argomenti affrontati, passo dopo passo, la ragazza venuta dall’Est scalò tutte le posizioni della CDU (il partito democristiano) fino a diventare il nuovo Primo ministro il 22 novembre 2005. Per lei la lingua tedesca dovette coniare una nuova parola: Bundeskanzlerin (Cancelliera). Succedeva al socialdemocratico Gerhard Schröder che, tra il 2003 e il 2005, aveva realizzato una drastica politica di modernizzazione dell’apparato produttivo che certamente aveva svecchiato la macchina industriale, ma con un elevato costo sociale che aveva causato la sua sconfitta alle urne. Da buona tedesca dell’Est, Angela viaggia soprattutto nei Paesi comunisti, sogna il mito americano e, più che dall’Europa, si sente attratta dal mondo anglo-sassone di cui conosce perfettamente la lingua. Nell’estate del 1990, quando già era diventata un’esponente politico della nuova Germania, fa un viaggio di quattro settimane lungo la West Coast degli Stai Uniti. Un “soggiorno meraviglioso” lo definisce in seguito. Solo successivamente decide di viaggiare in Provenza, ma l’incantevole regione francese non suscita grandi emozioni in lei perché non conosce la lingua.
Scelte etiche o machiavelliche?
Un giorno, parlando con la giornalista Evelyn Roll, Merkel confessò: “Credo di essere coraggiosa nei momenti cruciali, ma ho bisogno di tempo per prepararmi e prima di agire rifletto a lungo sulla situazione. Non sono spontaneamente coraggiosa. Sono troppo razionale”. Ci fu però un caso particolare in cui la futura Cancelliera mostrò una determinazione confinante con la spietatezza. Nel dicembre del 1999 Kohl, non più alla cancelleria dove era stato sostituito da Gerhard Schröder, era stato colpito da una accusa di finanziamenti illeciti al partito ma si era rifiutato pervicacemente di fare i nomi dei finanziatori. Angela Merkel decise allora di prendere posizione sulla questione e chiamò la redazione dell’autorevole Frankfurter Allgemeine Zeitung proponendo di inviare una lettera al direttore in cui avrebbe fatto affermazioni molto nette sullo scandalo che agitava il Partito democristiano. Quella lettera venne considerata una vera e propria dichiarazione di guerra contro Kohl e i baroni della CDU e consentì alla Mädchen di emergere come figura dominante all’interno del partito. Al congresso della CDU a Essen venne eletta con 897 voti a favore su 935, una vittoria schiacciante ottenuta con l’uccisione simbolica di colui che l’aveva selezionata e poi seguita nella sua intera carriera.
Un altro esempio della raffinata capacità politica della Merkel di sbarazzarsi dei propri rivali si ebbe alle elezioni del 2002. Edmund Stoiber, Ministro-presidente della Baviera, aveva ambizioni nazionali e premeva per essere scelto come candidato della CDU-CSU (il Partito cristiano-sociale della Baviera). Convinta che la maggioranza socialdemocratica-verde sarebbe stata riconfermata nelle urne, Merkel diede il suo appoggio alla candidatura di Stoiber che, sconfitto da Gerhard Schröder, fu costretto a ritirarsi dalla vita pubblica. Ma, in molte altre occasioni, la Cancelliera ha dimostrato di avere dei forti princìpi da cui non deflette, come ad esempio la questione dei diritti umani che ha sempre sollevato con fermezza di fronte a interlocutori come Putin o Xi Jinping. Non ha neppure evitato di criticare gli Stati Uniti per lo scandalo della prigione di Guantanamo, inconcepibile per la cultura giuridica europea.
Svolta fondamentale per l’Europa
Anche se a volte si è rivelata passiva di fronte a eventi improvvisi, il 31 agosto del 2015 Angela Merkel mostrò la sua caratura di statista durante una lunga conferenza stampa a Berlino che affrontava la questione dei migranti. “I diritti civili universali –dichiarò la Cancelliera- sono stati finora strettamente legati all’Europa e alla sua Storia. Se l’Europa fallisse nella crisi dei rifugiati, questo legame sarebbe spezzato […]. E l’Europa cambierebbe per sempre”. Definì il Paese sufficientemente “solido” per accogliere le centinaia di migliaia di richiedenti asilo che sarebbero arrivati nel 2015 e nel 2016. Wir schaffen das! (Ce la faremo!) divenne lo slogan volontarista della nuova accoglienza tedesca. Il saggio ricorda che i critici malevoli notarono come la maggior parte dei profughi provenienti dalla Siria fossero professionisti di buon livello culturale, che potevano essere integrati senza troppi problemi nel tessuto sociale e produttivo tedesco. È vero che l’arrivo di quasi un milione di persone in un arco di tempo molto ristretto ha facilitato la crescita di movimenti xenofobi di estrema destra come Alternative für Deutschland, ma oggi possiamo vedere la lungimiranza di quella scelta che ha inserito centinaia di migliaia di persone qualificate nell’industria, nei servizi e nelle professioni.
Se è vero che il suo atteggiamento durante la crisi del debito greco è apparso troppo duro, non dobbiamo dimenticare che la rigidità della posizione fosse dovuta al fatto che, per aderire all’euro, il governo greco aveva falsificato i dati sull’indebitamento e questo era inaccettabile per la figlia di un pastore protestante le cui decisioni sono sempre state segnate da una visione etica dell’economia e della politica. La Cancelliera ha il merito innegabile di aver rimesso inaspettatamente in discussione due tabù tedeschi come il finanziamento monetario e l’indebitamento in comune. La drammatica pandemia di Covid-19 che si è abbattuta sull’Europa ha creato le precondizioni per scardinare antichi veti e rigidità, ma questo è stato possibile perché Angela Merkel ha superato la sua politica dei piccoli passi e imposto alla Germania, ai Paesi dell’Est e a quelli che si definiscono “frugali” la propria posizione: potremo uscire dalla crisi soltanto insieme. Senza questa scelta non sarebbe mai potuto nascere il Piano di ripresa e resilienza che suscita così tante aspettative e di cui l’Italia è il principale beneficiario.
Gli autori rimarcano che se le grandi figure di Konrad Adenauer, Willy Brandt e Helmut Kohl sono ricordate per aver dato una direzione alla Germania, in quasi sedici anni la Bundeskanzlerin “è stata chiamata più che altro a reagire agli eventi, alle crisi economiche e finanziarie così come agli scombussolamenti politici provocati dalla fine della Guerra fredda…ma non ha mai dato la sensazione di avere un proprio disegno”. Eppure, incredibilmente, lascerà una Europa assai più integrata di quanto lei stessa non ritenesse necessario. Il saggio si conclude con il discorso di Angela Merkel a un comizio elettorale a Monaco di Baviera il 28 maggio del 2017, a seguito del referendum britannico sulla Brexit e dell’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca: “I tempi durante i quali potevamo dipendere da altri sono in parte trascorsi […]. Noi europei dobbiamo veramente prendere per mano il nostro destino. Naturalmente dobbiamo rimanere amici con gli Stati Uniti, il Regno Unito, da buoni vicini, là dove è possibile, così come con la Russia. Ma dobbiamo esserne consapevoli: dobbiamo lottare noi stessi, in quanto europei, per il nostro futuro e il nostro destino”.
Sergio e Beda Romano
Merkel. La Cancelliera e i suoi tempi
Longanesi, pgg. 176, euro 18,60
Galliano Maria Speri