Cremlino significa fortezza ed è da lì, con la sua sindrome da accerchiamento, che Putin sta lanciando la sua sfida alle democrazie liberali per riappropriarsi di tutto lo spazio della vecchia URSS, a partire dalle nazioni, ormai indipendenti, che ne facevano parte. Per affrontare USA ed Europa, Mosca ha messo a punto una complessa offensiva che affianca agli armamenti avanzati anche sofisticati strumenti di guerra cibernetica, in grado di manipolare l’opinione pubblica mondiale e rendere credibili le controverità create a tavolino dai servizi segreti russi. Un libro fresco di stampa fornisce un quadro vivido della macchina di potere al servizio del nuovo zar.
Premessa fondamentale: dovete dimenticare per un attimo le immagini terribili che provengono dall’Ucraina e fare il tentativo di tenere sgombra la mente. Solo così sarà possibile capire le motivazioni profonde della politica espansionistica di Putin. Marta Federica Ottaviani si è specializzata all’istituto per la Formazione al Giornalismo Carlo De Martino, ha lavorato per otto anni come corrispondente da Istanbul per Apcom, La Stampa, Avvenire. Dal 2016 ha iniziato a specializzarsi anche su Russia e i territori dell’ex URSS. Lo stile usato dall’autrice è diretto, con diverse riflessioni sulla deontologia del giornalista, chiamato a riportare i fatti con accuratezza e, possibilmente, imparzialità. Il compito è molto più complesso quando si ha a che fare con la dezinformatzija o la maskirovka, che è l’uso dell’inganno per avere la meglio sull’avversario.
Disinformate, disinformate, qualcosa resterà
Come esempio di quanto sia difficile, anche per un professionista, districarsi nel mare magnum di informazioni che ci circonda, il saggio riferisce che anche un’organizzazione come Amnesty International, certamente non sospettabile di simpatie putiniane, è caduta nella ragnatela di menzogne tessute da Mosca. Alexej Naval’ny è il principale oppositore di Putin, fortunosamente sfuggito nell’agosto del 2020 a un tentativo di avvelenamento con un agente nervino da parte dei servizi segreti russi. Con una spudoratezza senza pari, Putin si è discolpato con la raggelante frase: “Se fossimo stati veramente noi, sarebbe morto”. L’oppositore però non muore, viene curato in un ospedale di Berlino e, al rientro in patria, viene arrestato per “appropriazione indebita” e condannato a due anni e mezzo di prigione.
Naval’ny era stato inserito da Amnesty International nella lista dei “prigionieri di coscienza”. Nel febbraio 2021, però, la decisione viene revocata. Era successo che, nel frattempo, una poderosa macchina del fango era stata messa in moto, utilizzando vecchie dichiarazioni nazionaliste di Naval’ny citate fuori contesto, tanto che Amnesty, pur sospettando che la campagna fosse orchestrata dal Cremlino, decide di continuare a chiedere la sua liberazione, ma evitando di definirlo ancora “prigioniero di coscienza”. Questa direttiva interna è stata pubblicizzata con un tweet da Aaron Matè, un giornalista americano-canadese, collaboratore del sito Grayzone, che con questa fuga di notizie ha fatto un enorme favore ai siti di disinformazione legati al governo russo. Quella che sarebbe dovuta rimanere un’informazione riservata, viene immediatamente rilanciata da cento media russi, e diventa la notizia del giorno a Mosca. La vicenda va avanti per mesi, fino a quando, nel maggio del 2021, Amnesty International decide di riassegnare a Naval’ny lo status di “prigioniero di coscienza”, ammettendo di aver compiuto un errore e chiedendo scusa al dissidente e al suo movimento.
I servizi segreti russi hanno un’antica tradizione nel campo della disinformazione dai tempi dello
zar, ma l’avvento di internet ha permesso di fare un salto qualitativo. Quella che viene chiamata “fabbrica delle notizie” era inizialmente stata messa nelle mani di Vladislav Surkov e, una volta caduto questi in disgrazia, era passata in quelle untuose di Evgenij Viktorovič Prigožin, il tristemente noto “cuoco di Putin”. La struttura, inizialmente operante da Mosca, viene decentrata in tre città e internazionalizzata, con la creazione dell’Internet Research Agency (IRA). Sotto il coordinamento di Prigožin gli specialisti di guerra informatica lavorano come una redazione, su vari turni, in modo da coprire aree geografiche diverse 24 ore su 24. Tutti i profili utilizzati per diffondere le bufale sono corredati da foto, post di vita quotidiana, iscrizioni a gruppi e tutte le altre informazioni che si possono trovare su qualunque bacheca. Una perfetta imitazione della realtà da parte di un account totalmente falso.
Questa macchina poderosa ha conseguito notevoli successi, riuscendo a manipolare le elezioni statunitensi del 2016 che hanno visto la vittoria di Donald Trump (il quale, dopo l’invasione russa dell’Ucraina, ha definito Putin “un genio”) ma giocando anche un ruolo importante nella campagna che condusse alla Brexit. “Di certo -scrive Ottaviani- non solo le interferenze ci sono state, ma la classe politica inglese, a differenza di quella americana, le ha ampiamente sottovalutate, una parte per ingenuità, una parte per convenienza. Pensiamo solo al leader simbolo della Brexit, Nigel Farage, ai tempi a capo dell’Ukip, il Partito per l’Indipendenza del Regno Unito, che non ha mai nascosto le proprie simpatie per Vladimir Putin. A dirlo è stato un report pubblicato dalla Commissione intelligence e sicurezza del parlamento di Londra, nel quale è scritto nero su bianco che il Regno Unito è stato il primo obiettivo della Russia in Europa”.
Guerra totale contro il nemico
Dopo il dispiegamento di potenza fatto dagli Stati Uniti e dagli alleati nella Prima guerra del Golfo, Putin capì che la Russia non poteva più permettersi i costi di un conflitto tradizionale, per cui avrebbe dovuto combattere con altre armi. Con l’aiuto di un suo cerchio magico, cambiato poi nel tempo, e di vari teorici militari, ha messo a punto una strategia bellica di tipo nuovo in cui la guerra contro il nemico andava fatta con la diplomazia, l’economia, la manipolazione dell’opinione pubblica ma, soprattutto, sfruttando al massimo le enormi potenzialità fornite dalle nuove tecnologie. Questa nuova concezione è stata definita “guerra ibrida”, termine che, secondo diversi esperti militari, andrebbe sostituito da definizioni più calzanti come “guerra non convenzionale” o “guerra grigia”, dicitura questa spesso abbreviata in GZW, che sta per grey zone warfare. La GZW tiene conto anche della sfera politica e del quadro internazionale e, tra gli altri strumenti, include l’uso dei flussi migratori come arma di ricatto, come fatto recentemente dalla Bieolorussia verso la Polonia e altri Paesi aderenti alla NATO.
Nel febbraio del 2013, sulla rivista settimanale Voenno Promyshlennyj Kur’er viene pubblicato un articolo su “Il valore della scienza nella previsione”, a firma del generale Valerij Vasil’evič Gerasimov, che riassumeva i princìpi di “guerra non convenzionale” elaborati negli anni da vari strateghi militari russi. In un intervento sul suo blog, lo specialista Mark Galeotti aveva definito per brevità queste teorie come “dottrina Gerasimov”, termine diventato poi diffusissimo, anche se impreciso, per definire la nuova “guerra non lineare” russa. La paternità di questa strategia non può essere attribuita al solo Gerasimov, ma è fuor di dubbio che essa rappresenta l’attuale dottrina operativa seguita dal Cremlino e l’attacco russo contro la Georgia ne è stata la pratica dimostrazione. Il 7 agosto 2008 la Georgia inizia un’operazione militare per impedire il distacco delle repubbliche dell’Ossezia del Sud e dell’Abkhazia. Il giorno dopo, ingenti forze aeree, terrestri e marittime russe muovono verso la piccola repubblica caucasica. Ma nelle 48 ore precedenti, attacchi hacker avevano paralizzato il Paese, bloccando tutti i siti di comunicazione, i siti governativi, quelli delle banche, dei trasporti e, naturalmente, i media. I carri armati e le truppe arrivano soltanto dopo il blocco di tutte le attività del “nemico”.
La “macchina delle notizie” russa colpisce la sanità
I troll russi, con un articolato modus operandi, sono riusciti a colpire gli Stati Uniti in un settore vitale come quello della sanità. Già nel 2015 era possibile vedere sui social americani girare teorie sulla nocività di alcuni vaccini e sugli effetti collaterali che le campagne di immunizzazione potevano avere su alcuni bambini. Un studio approfondito e rigoroso pubblicato dalla George Washington University “aveva evidenziato come l’informazione medica diffusa tramite i social media stesse diventando sempre più piena di errori, volutamente ingannevole o comunque non rappresentante la realtà e come questa, in sintesi, stesse diventando profondamente pericolosa”. Alcune riviste scientifiche hanno documentato come, nello stesso periodo, alcune malattie solitamente tenute sotto controllo proprio grazie ai vaccini come pertosse, morbillo e parotite, siano tornate in circolazione. La ricerca sottolinea che una parte di questi tweet è esplicitamente riconducibile a troll russi che si sono serviti di sofisticati algoritmi. Alcuni account erano gli stessi che avevano pubblicato materiali falsi in occasione delle elezioni americane.
Se si va ad analizzare alcuni temi ricorrenti nei tweet degli account fasulli, si trovano frasi come “l’obbligo vaccinale annulla la libertà di scelta”, “non mi posso fidare del governo”, “le case farmaceutiche ci guadagnano”, “effetti collaterali dei vaccini”, “meglio l’immunità di Madre Natura”, “i vaccini causano l’autismo”, “gli ingredienti con cui si producono i vaccini sono pericolosi”, “non si tratta di malattie poi così pericolose”. Purtroppo, una volta esploso il Covid-19, “anche grazie allo sciagurato dibattito scatenato da una forza politica –commenta Ottaviani-, questi dubbi si sono insinuati anche nella società italiana”. Secondo gli studiosi della George Washington University una delle motivazioni per le quali queste teorie hanno preso piede così rapidamente e, a volte, in modo così radicato, è il fatto che sempre più spesso ci si informa sui social, ignari dei rischi di essere manipolati.
Come si vede, l’approccio per colpire chi, in un delirio ossessivo di persecuzione, viene considerato l’aggressore è vasto, articolato e capace di indebolire settori vitali del “nemico”. Ma proprio nel delineare la parte più bellicosa e sofisticata del piano russo emergono elementi di fragilità che potrebbero risultare pericolosi per Putin. Riferendosi all’attacco contro l’Ucraina del 2014, che portò all’annessione della Crimea e alla creazione delle due repubbliche indipendentiste del Donbass, Ottaviani scrive: “Un’ azione a largo spettro, che richiama lo sciagurato concetto di ‘approccio olistico al danno’, proprio quello di cui aveva scritto il generale Gerasimov pochi mesi prima e che vedeva l’impiego di più metodi, dalle forze regolari alle forze speciali (opportunamente senza distintivi per non essere riconosciute), oltre al finanziamento delle attività di guerriglia, la corruzione di politici locali perché ‘sposassero’ la causa filorussa, le manifestazioni dei servizi segreti per fomentare le azioni separatiste in Donbass e farle apparire come una spontanea (e maggioritaria) volontà di distaccarsi da Kiev per guardare a Mosca”. Questo è esattamente lo stesso approccio usato da Putin nell’ordinare l’invasione dell’Ucraina iniziata il 24 febbraio 2022 e ancora in corso ma, a differenza del 2014, stavolta le cose non stanno andando secondo i piani del Cremlino e questo rappresenta un ostacolo imprevisto per gli strateghi militari russi e una buona notizia per chi crede invece nella difesa di una società aperta e democratica.
Marta Federica Ottaviani
Brigate Russe
La guerra occulta del
Cremlino tra troll e hacker
Ledizioni, pag. 213, euro 14,90
Galliano Maria Speri
(La foto dello sfondo è stata scattata a Taormina dal canadese Dennis Jarvis nel 2010)