La mattina del 21 settembre, dopo vari rinvii, il presidente russo è apparso in televisione per annunciare una “mobilitazione parziale” per fronteggiare le sconfitte militari sul campo e sancendo, de facto, che la guerra contro Kyiv ha preso una brutta piega per lui. Anche il tanto atteso incontro con Xi Jinping a Samarcanda non ha fatto che ribadire il ruolo di junior partner della Russia verso una Cina che, formalmente, appoggia l’invasione in Ucraina ma non vuole rischiare di incorrere nelle sanzioni occidentali per un sostegno troppo diretto. Dobbiamo ricordare però che un animale ferito e disperato può diventare molto pericoloso.
Nel suo messaggio preregistrato e con il volto delle grandi occasioni il presidente russo ha sottolineato che l’obiettivo dell’Occidente è “indebolire, dividere e distruggere la Russia“. “Nella sua aggressiva politica anti-russa, l’Occidente ha superato ogni limite” ha aggiunto Putin, ribadendo che userà “tutti i mezzi a nostra disposizione” e che coloro che stanno cercando di usare il ricatto nucleare contro la Russia scopriranno che le carte in tavola possono essere rivoltate contro di loro. “Non sto bluffando“, ha poi specificato. Putin ha inoltre annunciato il proprio “sostegno” ai referendum per l’annessione dei territori ucraini occupati. Dopo il suo discorso, il ministro della Difesa Shoigu si è affrettato a precisare che il provvedimento non riguarda i soldati di leva ma 300mila riservisti, uomini che hanno già servito nell’esercito, con esperienza di combattimento e specializzazioni militari.
La Cina e la Russia sono veramente grandi amici?
La maggior parte degli osservatori occidentali interpreta il discorso come un segno di debolezza dovuta ai successi della controffensiva ucraina ma anche al fatto che l’invasione ha indebolito la Russia a livello internazionale e, soprattutto, l’ha spinta ancora di più nelle robuste braccia di Pechino. Il nuovo zar ha lanciato la sua “operazione militare speciale” per riconquistare il rispetto e il timore dovuto a una superpotenza, ma il suo temibilissimo esercito si è dimostrato molto al di sotto delle aspettative. La controffensiva di Kyiv ha avuto successo perché gli ucraini (con l’appoggio sostanziale delle informazioni occidentali) hanno fatto credere che l’attacco sarebbe avvenuto a sud, convincendo quindi i russi a spostare le truppe su Kherson. La controffensiva è stata invece condotta nel settore nord-orientale, tra Kharkiv e Izyum, e ha sfondato le linee russe perché quell’area era stata sguarnita. Si tratta di un fallimento gravissimo perché dimostra non solo fragilità militare ma anche ingenuità strategica da parte dell’esercito di Mosca.
In effetti, l’umore del presidente russo deve essere pessimo perché il suo tentativo di ottenere un sostegno maggiore da parte della Cina non è stato coronato da successo. Il 15 settembre 2022 Putin ha incontrato Xi Jinping a Samarcanda, in Uzbekistan, durante il vertice della Shanghai Cooperation Organization (SCO), un organismo intergovernativo nato nel 2001 per iniziativa di Cina, Russia, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan, ma ora allargato anche a India e Pakistan. A volte, il protocollo può fornirci indicazioni cruciali sui reali rapporti di forza perché al suo arrivo a Samarcanda Xi è stato ricevuto dal presidente uzbeko Shavkat Mirziyoyev, mentre ad accogliere Putin si è presentato soltanto il Primo ministro, un piccolo sgarbo diplomatico che sottolinea però i rapporti di forza tra Mosca e Pechino.
Recentemente, la Russia ha tentato di trasformare la SCO in una specie di struttura anti-NATO, chiedendo il rafforzamento dell’organizzazione militare e proponendo esercitazioni militari congiunte sul suolo russo per il prossimo anno. Ma il fatto che due membri fondatori come il Kirghizistan e il Tagikistan abbiano avuto violenti scontri militari alle proprie frontiere proprio durante i giorni del vertice dimostra chiaramente la limitata capacità dell’organizzazione di svolgere un ruolo di sicurezza collettiva nella regione. Gli uzbeki hanno ripetutamente sottolineato che non avevano nessuna intenzione di permettere che il vertice organizzato da loro si trasformasse in un qualcosa di anti-occidentale, mentre i funzionari kazaki presenti hanno rifiutato qualsiasi appoggio alla guerra in Ucraina, focalizzandosi su progetti regionali in cui la Russia ha un ruolo marginale. È anzi emerso l’interesse dei Paesi dell’Asia centrale agli investimenti in infrastrutture che sono stati delineati da Cina e Turchia (invitata per la prima volta come osservatore proprio dalla Russia).
Rapporti da fratelli-coltelli
Anche l’incontro con Xi Jinping, il 39esimo in dieci anni, oltre a “caro compagno” e “vecchio amico” ha prodotto molto poco di pratico. Per la prima volta, il capo del Cremlino ha riconosciuto che ci sono differenze con l’amico cinese sulla valutazione dell’avventura militare in Ucraina, d’altronde mai condannata da Pechino. “Il tandem di politica internazionale Russia-Cina -ha proposto lo Zar- può assicurare un ordine mondiale giusto, equilibrato e multipolare” a cui Xi ha replicato dichiarando: “La Cina è disposta a lavorare con la Russia per dimostrare responsabilità di grandi potenze, svolgere un ruolo di primo piano, iniettare stabilità ed energia positiva in un mondo caotico”. Ma il presidente russo si accorge sempre di più che il manubrio del tandem è fermamente nelle mani dell’imperatore cinese e lui può solo pedalare.
Nel loro incontro precedente, svoltosi a Pechino il 4 febbraio 2022, i due interlocutori si erano promessi una “collaborazione senza limiti” ma nessuno sa cosa Putin avesse realmente rivelato a Xi sull’invasione che si apprestava a lanciare. In questi mesi Pechino ha dimostrato un’ambiguità strategica perché, se è vero che non ha mai criticato l’operazione, si è anche ben guardato dal sostenerla militarmente fornendo a Mosca la tecnologia bellica necessaria a schiacciare Kyiv per il timore di incorrere nelle ritorsioni economiche americane. Nel caso di un successo del blitzkrieg contro gli ucraini, che avesse lasciato allibito e impotente l’Occidente, si sarebbe aperta una possibilità per un’operazione cinese contro Taiwan, ma le cose non sono per niente andate in quella direzione. Stati Uniti ed Europa hanno ritrovato sintonia e collaborazione e il Congresso americano ha ribadito unanimemente che gli USA sono pronti a difendere militarmente Taiwan.
Gli insuccessi militari russi hanno anche mostrato al mondo che la tanto proclamata efficienza
militare dei Paesi autoritari, rispetto alla debolezza delle democrazie, non ha funzionato sul campo. Durante i recenti scontri tra Azerbaigian e Armenia per l’irrisolta questione del Nagorno-Karabakh, Erevan ha chiesto aiuto al Cremlino, che si è sempre proclamato garante degli interessi dei cristiani armeni, ma ha ricevuto solo parole di comprensione perché l’esercito russo non ha abbastanza uomini in Ucraina, figuriamoci se può permettersi di intervenire in Armenia. A sua volta, questo apre importanti questioni per tutte le aree geografiche dove Mosca conduce operazioni militari come la Siria, la Libia, l’Iraq, il Mali e la Repubblica Centrafricana.
Le sanzioni occidentali hanno costretto Putin a riorientare la propria strategia verso Oriente e a intessere rapporti economici sempre più stretti con Pechino, ma questo lo mette oggettivamente in una condizione di debolezza perché una Russia spostata a Est non può che ritrovarsi in posizione subordinata rispetto alla Cina. Il vertice di Samarcanda ha mostrato che esiste un multilateralismo che si contrappone a un Occidente dominato dagli interessi statunitensi. Xi è stato molto abile nel fare piccole concessioni sulle questioni di confine in sospeso con l’India, visto che il presidente Narendra Modi partecipava all’incontro. D’altronde non si può ignorare che i Paesi aderenti alla SCO rappresentano più di un terzo della popolazione mondiale e che quindi quando la Cina definisce come una pretesa vuota quella dell’Occidente di appellarsi alla “comunità internazionale” non va troppo lontano dalla realtà. La Cina è riuscita a creare un contesto multilaterale alternativo che non è completamente anti-occidentale, non è pienamente anti-democratico e soprattutto, in un periodo di crescente rivalità sistemica, non è certamente anti-cinese. In questa realtà non c’è molto spazio per la Russia, con buona pace di tutte le ambizioni imperiali di Vladimir Vladimirovič.
Il pericolo di guerra nucleare
Anche senza rifarsi all’isteria dei tempi della Guerra fredda, quando gli americani ricchi si costruivano rifugi antiatomici in giardino, non possiamo non preoccuparci del costante riferimento agli ordigni nucleari da parte del governo russo e, infine, anche dal presidente Putin che non è mai stato così esplicito nel minacciare una loro utilizzazione. Come ha ricordato in svariate occasioni Dmitry Peskov, portavoce del Cremlino, la dottrina militare russa ufficiale prevede l’uso di armi nucleari tattiche in caso di aggressione contro la Federazione russa che metta a repentaglio “l’esistenza” ma anche la “sovranità e l’integrità territoriale dello Stato”. I referendum annunciati da Putin per i territori occupati, che dovrebbero tenersi tra il 23 e il 27 settembre 2022, potrebbero integrare le zone ucraine occupate nella grande patria russa e un attacco in quelle aree potrebbe far scattare il protocollo di difesa che prevede armi nucleari.
L’intenzione di convocare i referendum è stata condannata dalla diplomazia occidentale e, per quanto riguarda la minaccia nucleare, il segretario generale della Nato la definisce “pericolosa e incauta“. Putin “sa bene che una guerra nucleare non può essere vinta e avrebbe conseguenze senza precedenti per la Russia. Inoltre la Nato sta aumentando la sua presenza” sul fronte Est “per rimuovere qualsiasi equivoco a Mosca. Noi faremo in modo che non ci siano equivoci a Mosca sulla serietà dell’uso di armi nucleari“. Qualche anno fa, il presidente francese Macron parlò di “morte cerebrale” per la NATO. La situazione strategica è oggi completamente diversa ma non sembra che le strutture cerebrali della NATO diano molti segni di creatività e si limitano a ribattere alle mosse russe senza una strategia di lungo termine. Molto prudentemente, la Cina ha invitato Putin a evitare un’escalation militare e, nelle parole del portavoce del ministero degli Esteri cinese Wang Wenbin, ha sollecitato il dialogo in modo da trovare soluzioni per le “legittime preoccupazioni per la sicurezza di tutti i Paesi” e arrivare a un cessate il fuoco attraverso “tutti gli sforzi volti alla risoluzione pacifica della crisi”.
I dati reali ci dicono che siamo di fronte a un dittatore che vede frustrati i propri piani di grandezza imperiale ed è stato umiliato sul campo da una piccola potenza come l’Ucraina. Il suo unico alleato si guarda bene dal sostenerlo militarmente e gli offre come unica prospettiva quella di fare il socio di minoranza con poca voce in capitolo. Non è difficile capire quanta rabbia stia montando nell’animo di Vladimir Vladimirovič che inizia a rendersi conto del vicolo cieco in cui si è ficcato da solo con l’invasione dell’Ucraina. Sarebbe folle sfidarlo per vedere se la minaccia nucleare è un bluff o un pericolo reale. L’unica strategia intelligente è quella di offrirgli un’onorevole via d’uscita proponendogli, con l’assenso di Kyiv, un compromesso accettabile che ponga fine alle atrocità della guerra e alle sofferenze del popolo ucraino. Esiste qualche economista che, al pari di John Maynard Keynes dopo la Prima guerra mondiale, veda con chiarezza i rischi a cui stiamo andando incontro e riesca a formulare una geniale e coraggiosa proposta di collaborazione economica che potrebbe essere accettata da Mosca?
Galliano Maria Speri