Il Cancelliere Scholz sembra aver inaugurato una politica che non tiene in nessun conto l’appartenenza alla UE e la necessità vitale di fare fronte comune nell’attuale situazione strategica. Berlino non ha imparato la lezione del fallimento della sua politica verso la Russia e rischia di fare lo stesso errore con la Cina. Non possono essere gli interessi della grande industria a dettare la politica estera ma considerazioni di lungo termine, in accordo con gli alleati europei. Senza Berlino l’Europa sarà stritolata ma anche una Germania che agisce da sola non ha futuro.
La Germania è la maggiore potenza economica dell’Unione Europea e rappresenta il motore industriale del continente ma sembra che l’attuale Cancelliere si stia ispirando agli aspetti più deteriori della politica tedesca degli ultimi anni, accentuando una deriva nazionalistica che non tiene in nessun conto le esigenze degli altri Paesi della UE. Già in passato sono stati fatti gravi errori quando Berlino ignorò completamente le preoccupazioni europee riguardo ai lucrosi affari energetici e commerciali con Russia e Cina. Inoltre, durante la crisi del debito nell’eurozona, Angela Merkel richiese e ottenne misure draconiane di austerità per i Paesi mediterranei, in modo da proteggere gli interessi delle banche tedesche e dei propri contribuenti. Per i greci questo significò lacrime e sangue che, però, non intenerirono il cuore dei banchieri di Francoforte.
Dopo l’Ucraina il mondo è cambiato
Di fronte alla tragedia della pandemia di Covid-19, l’Europa ha saputo coalizzarsi e affrontare unita la situazione, riuscendo a venirne a capo. Ma la drammatica crisi energetica, ampiamente accentuata da media irresponsabili che, oggettivamente, fanno il gioco del Cremlino, ha rotto l’unità di intenti e generato una forte spinta ad agire guardando soltanto al proprio tornaconto di breve periodo. Se, infischiandosene delle sanzioni internazionali, l’ungherese Orban stipula un accordo con Putin per massicce forniture di gas, questo non cambia troppo i rapporti di forza nella UE. Ma se la Germania adotta un pacchetto da 200 miliardi di euro per sostenere le industrie e i cittadini tedeschi, questo crea una situazione di concorrenza sleale verso le altre imprese europee e, soprattutto, manda in fumo tutti i tentativi di creare un fronte comune sull’energia.
La grande industria tedesca, e una parte del partito socialdemocratico, si erano illusi che l’accordo con la Russia avrebbe significato un mercato ricco e in espansione e forniture illimitate di energia a basso prezzo per sempre. L’invasione dell’Ucraina ordinata da Putin ha mostrato quanto fosse illusoria e ingenua questa strategia. La classe dirigente tedesca ha impiegato molti mesi per rendersi conto che trent’anni di vantaggiosi accordi commerciali erano sfumati, forse per sempre, nel momento in cui le truppe russe avevano varcato il confine ucraino. Mostrando un informe coacervo di mercantilismo, ingenuità strategica e senso di inadeguatezza, il possente apparato produttivo tedesco, senza aver analizzato a fondo le motivazioni del fallimento della politica verso la Russia, si è gettato a corpo morto sulla Cina, rischiando di ripetere, ancora una volta, gli stessi errori.
La fine, veramente drammatica, dell’accordo Germania-Russia ha delle implicazioni strategiche a livello mondiale e va affrontata in un articolo a parte (lo farò nelle prossime settimane). Il problema è che le esortazioni del presidente francese Macron a diventare più coesi e autosufficienti e diversificare i propri partner commerciali non trovano ascolto a Berlino. L’asse franco-tedesco, che ha retto l’intera strategia europea degli ultimi decenni, si è incrinato. Scholz si muove seguendo logiche nazionalistiche e non tiene conto del fatto che viviamo in una realtà totalmente modificata. La rottura delle catene di rifornimento seguita al Covid-19 e la trasformazione dell’energia in un’arma da usare per ricattare gli avversari impongono all’Europa di agire all’unisono e pensare a una strategia unitaria per la propria sicurezza, a prescindere dagli USA (d’altronde la possibilità di ritrovarsi Donald Trump alla Casa Bianca tra due anni non è certo tranquillizzante). E questo, senza la Germania, è semplicemente impossibile.
Gli avvertimenti dei servizi segreti tedeschi
Il 26 ottobre 2022 il governo tedesco ha concesso al gigante cinese della logistica Cosco di acquistare il 25 per cento di un terminal all’interno del porto di Amburgo, il terzo in Europa, dopo Rotterdam e Anversa. L’entrata dei cinesi nella proprietà delle strutture portuali della città tedesca ha suscitato fortissime polemiche, sia per il parere negativo della Commissione europea che per la forte opposizione da parte alcuni ministri dello stesso governo di Berlino. Il Cancelliere, che è stato sindaco di Amburgo fino al 2018, quando divenne ministro delle Finanze nel governo Merkel, è stato costretto a un durissimo braccio di ferro con i Verdi e il Partito liberal democratico, membri della sua stessa maggioranza. L’iniziale percentuale del 35 per cento è stata portata al 24,9 per cento ma, alla fine, Scholz si è imposto e ha fatto approvare l’accordo, sollevando molte preoccupazioni, non solo in Europa.
Anche se la percentuale del 24,9 per cento non consentirà alla Cosco di influire sulle decisioni prese dalle autorità portuali, la leader verde Katharina Dröge ha dichiarato che questo compromesso è “un errore” perché “significa in ogni caso una dipendenza economica e ha un effetto sulla nostra sovranità su un’infrastruttura fondamentale”, come ha riportato il Financial Times del 26 ottobre 2022. “Chi immagina che questo investimento –ha continuato l’esponente dei Verdi- sia solo un progetto economico non ha capito nulla della politica russa dei decenni scorsi”. Anche Friedrich Merz, a capo dell’opposizione cristiano democratica, ha lanciato un appello per la revisione delle relazioni con la Cina “nel loro insieme”. “Non riesco a capire –ha continuato- come il Cancelliere possa insistere nel garantire la sua autorizzazione in una situazione come quella attuale”.
Il riferimento è all’audizione parlamentare del 24 ottobre 2022, a cui sono intervenuti i responsabili
delle tre sezioni in cui sono divisi i servizi segreti tedeschi. Bruno Kahl, che guida l’intelligence esterna BND, ha detto di essere “molto critico” sull’idea della partecipazione cinese nel porto di Amburgo. “Un porto –ha aggiunto- è il tipo di infrastruttura sensibile che va studiata con molta cura, prima di prendere una decisione in proposito”. Ha sottolineato inoltre la minaccia posta “da una Cina autocratica e in ascesa” e ha ricordato come la Germania “si debba preparare alla possibilità che l’economia venga utilizzata per imporre le idee cinesi. Nel caso si verificasse una divergenza politica tra la Germania e la Cina, potrebbero essere usate anche le pressioni economiche”. Kahl ha inoltre criticato l’atteggiamento dei parlamentari che, in passato, non hanno preso seriamente in considerazione gli ammonimenti dell’intelligence.
Durante la stessa audizione, Martina Rosenberg, capo del controspionaggio militare, ha affermato che da molti anni la Cina conduce “sofisticate operazioni di spionaggio” sulle forze armate tedesche. Il problema è che nelle relazioni con la Cina, il profitto è stato messo al di sopra della sicurezza. Per anni le imprese tedesche hanno fatto investimenti rilevanti in Cina, nonostante fosse ampiamente noto che Pechino usasse le compartecipazioni con le stesse imprese per appropriarsi fraudolentemente di tecnologia e know-how specifici, senza spendere un centesimo in ricerca e sviluppo. Lo shock dell’invasione dell’Ucraina ha allarmato sia i parlamentari che le forze sociali su quanto possa essere pericoloso legarsi in modo troppo stretto con un partner specifico. Nonostante questo, a fine ottobre la Volkswagen ha annunciato di voler procedere con un progetto da 2,4 miliardi di euro con la cinese Horizon Robotics per la realizzazione di auto a guida automatica, senza contare che l’industria chimica BASF ha appena aperto un nuovo impianto nel sud della Cina e ipotizza di investire 10 miliardi di euro.
Il sogno cinese di Scholz
Nonostante le raccomandazioni dell’intelligence, il parere negativo della Commissione UE e di ben sei ministri del suo governo, la contrarietà dell’opposizione cristiano democratica e la titubanza di una parte dell’imprenditoria, il Cancelliere ha concesso alla Cosco di acquisire una quota dei terminal del porto di Amburgo, il più importante della Germania. Non si tratta però del desiderio di compiacere i cittadini di una città di cui è stato a lungo borgomastro. Tanta determinazione è dovuta al fatto che, in realtà, Scholz aveva assolutamente bisogno di qualcosa di concreto in mano per il suo viaggio, contestatissimo anche questo, in Cina. Il 1 novembre 2022 la ministra degli Esteri, la verde Annalise Baerbock, ha espresso esplicite riserve sull’opportunità di un viaggio a Pechino, già pronta a sfruttare la visita come prova delle divisioni interne dell’Occidente.
Ma, nonostante le grandi pressioni nazionali e internazionali, il Cancelliere è partito per Pechino e, il 4 novembre, ha incontrato il presidente cinese Xi Jinping, appena uscito come vincitore assoluto dal XX congresso del Partito comunista cinese che lo ha incoronato come uomo più potente della Cina dai tempi di Mao Zedong. Anche se il viaggio è durato soltanto undici ore, inciderà pesantemente sulle relazioni sino-tedesche e sui rapporti della Germania all’interno della UE e con gli Stati Uniti. Il Cancelliere, il primo leader del G7 a recarsi in Cina dallo scoppio della pandemia e il primo a incontrare Xi Jinping, è stato accompagnato da una nutrita delegazione di imprenditori fra cui i capi di Siemens, BASF, Bmw e Wolkswagen. Dopo aver indispettito la UE per il rifiuto di farsi accompagnare da Macron, Scholz ha cercato di salvare la faccia chiedendo a Xi di usare la sua influenza per fermare la guerra in Ucraina e trattando temi come la condanna delle armi nucleari, Taiwan e i diritti umani ma, soprattutto, l’approfondimento dei rapporti commerciali tra i due Paesi.
Questa contestata strategia, che rischia di isolare Berlino a livello internazionale, è dovuta a un semplice fatto: nella fase attuale, la Germania non può assolutamente permettersi di fare a meno di Pechino. La ragione è che delle dieci società tedesche di maggior valore e quotate in borsa, nove ricavano almeno il 10 per cento dei loro profitti dalla Cina, con punte come la Daimler che vende lì oltre un terzo dei suoi veicoli. Non dimentichiamo poi che, da sei anni, Pechino è il principale partner commerciale della Germania. Dobbiamo considerare inoltre che il 46 per cento delle industrie tedesche è rifornito da catene di approvvigionamento cinesi. E così, mentre la UE sta facendo grandi sforzi per ridurre la propria dipendenza dalla Cina, considerata allo stesso tempo sia un “partner” che un “rivale sistemico”, la Germania sceglie di difendere i propri interessi e non inimicarsi il suo maggior partner commerciale.
Messa alle strette dalla crisi pandemica, Angela Merkel decise di infrangere un tabù tedesco e accettare la condivisione del debito con i Paesi meno virtuosi, mentre Scholz sta facendo esattamente l’opposto e si è imbarcato in una solitaria politica in cui sono gli interessi commerciali tedeschi a dettare la linea e mettere il bavaglio alla politica. Come c’era da aspettarsi, l’arrivo del Cancelliere a Pechino è stato salutato da titoli entusiastici della stampa di regime, proprio nel momento in cui la Cina torna verso l’ortodossia marxista-leninista, diventa ancora più centralizzata sul piano economico e autoritaria su quello politico. Scholz sta ripetendo gli stessi errori che furono fatti verso la Russia perché l’invasione dell’Ucraina ha dimostrato l’infondatezza della tesi fideistica secondo la quale l’intensificarsi del commercio avrebbe portato all’apertura della società e alla democratizzazione delle istituzioni. Lo stesso vale per Pechino, guidata da un presidente che ha i poteri di un imperatore. Se, come sembra, la Germania aumenterà la propria dipendenza economica dal Dragone cosa succederà in caso di un’invasione (non imminente ma nemmeno troppo improbabile) di Taiwan?
Galliano Maria Speri