Jheronimus van Aken, universalmente noto come Jheronimus Bosch è un pittore che, dopo la riscoperta novecentesca, è tornato nuovamente a essere famosissimo e il suo nome viene accostato a quelli di Raffaello, Michelangelo, Rembrandt, Picasso. Purtroppo, è sopravvissuta fino ai giorni nostri anche una tradizione critica che lo considera autore primitivo e bizzarro, creatore allucinato e fantasioso di esseri mostruosi, forse espressione di un’anima malata ed eterodossa che mostra così la sua repulsione verso l’opprimente religione ufficiale. Niente è più lontano dalla realtà e l’interessante e accurata mostra a Palazzo Reale a Milano lo dimostra ampiamente. Bosch non è un conturbante autore di un “controrinascimento” ma va inserito a pieno titolo nelle correnti umanistiche che generarono quello che la critica ottocentesca definì “Rinascimento”. Si tratta semplicemente di un Rinascimento “altro”, come viene giustamente sottolineato dal titolo della mostra, un lato, certamente complesso e oscuro, della stessa medaglia.
Vita e fortuna critica
D’altronde, la tesi che vede Bosch come sostenitore di un pensiero eretico e ferocemente critico verso la chiesa ufficiale non regge quando si vadano a esaminare i pochi dati anagrafici certi in nostro possesso. Jheronimus nasce intorno al 1450 a ‘s-Hertogenbosch (Bois-le-Duc in francese e Boscoducale in italiano), una prospera cittadina del Brabante che era anche un vivace centro culturale e religioso con diverse istituzioni, sia laiche che ecclesiastiche, molto attive nella vita sociale e comunitaria. Un’importanza particolare rivestiva la Confraternita di Nostra Diletta Signora, fondata nel 1318, che riuniva uomini e donne, sia laici che religiosi, dediti al culto della Vergine. Questa istituzione era molto vicina ai Fratelli e Sorelle della Vita Comune, una confraternita che ebbe un ruolo centrale nello sviluppo dell’umanesimo nelle Fiandre e, a differenza dei movimenti simili, si caratterizzò per una forte connotazione intellettuale. Non è certo un caso che Erasmo da Rotterdam, in stretti rapporti con i Fratelli e Sorelle della Vita Comune, avesse studiato alla Groote School di Boscoducale. Anche se sappiamo pochissimo dell’educazione artistica di Bosch, è chiaro che il giovane artista crebbe in un ambiente saturo dei fermenti ideali dell’umanesimo.
Questo aspetto viene subito colto dai primi critici della corte asburgica (non dobbiamo infatti dimenticare che le Fiandre erano allora governate dagli Asburgo). Ambrosio de Morales, uno dei pensatori di spicco nell’ambiente della corte di Filippo II, non esita a comparare il Carro del fieno, una delle opere più bizzarre di quelle in possesso del monarca spagnolo, con un’opera dell’Antichità classica, mentre Felipe de Guevara, autore verso il 1560 dei Comentarios de la pintura y pintores antiguos, cita il pittore antico Pireico, che aveva dipinto “cose umili e basse” oltre che “barbieri e calzolai, asini e dispense e cose simili a esse” aggiungendo: “Questo genere di pittura mi sembra simile a quello di Bosch che nel nostro tempo tanto si celebra”. Nel periodo dell’Illuminismo, profondamente segnato da una visione razionale della realtà, inevitabilmente, cala il sipario sull’onirico e bizzarro Bosch. Solo ai primi del Novecento, il pittore di Boscoducale viene di nuovo rivalutato, questa volta come precursore del culto dell’irrazionale, del subconscio, del surrealismo. Ma anche di ansie che il mondo contemporaneo è perfettamente in grado di capire.
D’altronde, come si può pensare a un “eretico”, un “eterodosso”, un “ribelle radicale”, quando la fortuna di Bosch è interamente legata ai cattolicissimi Asburgo, da Filippo il Bello, padre del futuro Carlo V, a sua sorella Margherita, fino a Filippo II, che aveva fatto costruire la sua residenza dell’Escorial seguendo il disegno della graticola su cui era stato martirizzato San Lorenzo e che in questa residenza, tutta pervasa da sentimenti religiosi, ammirava il già citato Carro del fieno? Anche José de Sigüenza, uno dei critici legati alla corte asburgica, sottolinea come nei principali dipinti di Bosch siano presenti il fuoco e la civetta ed enfatizza il carattere di monito morale dei suoi dipinti: “Ci fa capire -scrive- che ciò che bisogna tenere a mente è quel fuoco eterno”. Con la civetta “dice che i suoi dipinti sono accurati e studiati, e con lo studio vanno guardati; la civetta è un uccello notturno dedicato a Minerva e allo studio, simbolo degli ateniesi nella cui città fiorì la Filosofia che si raggiunge con la quiete e il silenzio della notte, consumando più olio che vino”. Quindi autore moralistico e rigoroso, non allucinato cantore di sabba polimorfi, frequentati da creature ibride che ispirano ribrezzo unito allo sconcerto, oppure pittore buffonesco e cantore del ridicolo e del malforme.
Le sezioni della mostra
L’esposizione si snoda in dieci articolazioni che affrontano temi come il rapporto di Bosch con il fantastico, il sogno, la magia, le visioni apocalittiche, le tentazioni di sant’Antonio, la stampa come mezzo di divulgazione, il mondo asburgico. È ben noto che la scoperta dell’America aveva stimolato una nuova curiositas presso il pubblico colto europeo, non solo in Italia e nella penisola iberica ma anche nei Pasi del Nord. Questa nuova sensibilità aveva favorito la diffusione della fama di Bosch i cui dipinti, fitti di dettagli e particolari fantasiosi, erano molto simili alle Wunderkammer che avevano cominciato a diffondersi nelle corti e nelle residenze dei ricchi borghesi. Nella prima sezione, che affronta il rapporto tra Bosch e il Rinascimento, si possono ammirare tre folgoranti opere del maestro, il Trittico delle Tentazioni di sant’Antonio, il Trittico dei santi eremiti e le Meditazioni di San Giovanni Battista. Queste opere, soprattutto la prima, hanno la grave limitazione di essere adeguatamente leggibili soltanto dal vivo perché avremmo bisogno di riproduzioni grandi come l’originale per osservare la gamma infinita di dettagli e particolari che nelle riproduzioni, di solito di piccolo formato, vanno irrimediabilmente perse.
Un’altra cosa che va solitamente persa nelle riproduzioni è la qualità cromatica dell’originale. Il fuoco che crepita sinistro nel Trittico delle Tentazioni di sant’Antonio, nel Giudizio finale o nel famosissimo pannello di destra del Giardino delle delizie (presente nella mostra con uno splendido arazzo che lo riproduce) ha bagliori sinistramente infernali che non solo ammoniscono il credente a mantenersi sulla retta via, ma sembrano annunciare l’arrivo incombente di una catastrofe ineluttabile, destinata a sconvolgere l’umanità. Bosch muore nel 1516, lo stesso anno della pubblicazione di Utopia, il capolavoro di Thomas More, un anno prima dell’affissione delle tesi di Lutero che portarono alla rottura dell’unità del cattolicesimo e videro l’inizio delle guerre di religione che insanguinarono l’Europa per oltre un secolo, fino alla fine della Guerra dei trent’anni, nel 1648. Forse le creature mostruose dipinte dal neerlandese non sono altro che la raffigurazione delle sue paure profonde di un futuro terribile che sentiva avvicinarsi sempre di più.
Particolarmente interessante è la sezione intitolata La stampa come mezzo di divulgazione, perché ci fa capire come un autore complesso e di nicchia sia divenuto noto in tutta Europa e abbia avuto imitatori fino in Perù e Bolivia. La chiave sta nella collaborazione tra l’artista Peter Bruegel il Vecchio e l’editore di Anversa Hieronymus Cock che portò alla pubblicazione di una serie di stampe che permisero una vasta circolazione di immagini che combinavano iconografie consolidate sin dal Medioevo con le fantasie boschiane, rilette in una chiave alquanto umoristica. Le stampe dei più celebri incisori si rivelarono l’equivalente dell’odierna rete perché consentirono a moltissime persone di ammirare, sotto forma di incisioni, quadri collocati in Paesi che non avrebbero mai visitato, dando quindi un contributo fondamentale alla diffusione della cultura pittorica a un livello mai visto prima. L’introduzione del catalogo termina augurandosi una futura esposizione, senz’altro auspicabile, dedicata a Bosch come precursore del culto dell’irrazionale, del subconscio, del surrealismo. Magari si sarebbe potuto aggiungere al percorso una serie di interventi centrati sull’analisi psicoanalitica dell’opera dell’artista di Boscoducale, sviluppando i temi di un pannello che descrive le creature ibride create dalla sconfinata fantasia del nostro autore. Ottimo argomento per una prossima mostra.
Bosch
e un altro Rinascimento
a cura di Bernard Aikema,
Fernando Checa Cremades,
Claudio Salsi
Palazzo Reale, Milano
9.11.2022-12.03.202
Catalogo
Sole 24 Ore Cultura e Castello Sforzesco
Galliano Maria Speri