Quando, meno di un anno fa, Vladimir Putin lanciò l’invasione dell’Ucraina si aspettava una vittoria rapida e decisiva, che lo avrebbe consacrato come uno dei grandi della storia russa, il novello Pietro il Grande che vendicava la sconfitta nella Guerra fredda e l’umiliazione seguita al crollo del comunismo, e riportava la Russia tra le superpotenze. Ma, inaspettatamente, gli ucraini hanno reagito con eroico coraggio e, con l’aiuto dei Paesi occidentali, si sono difesi tenacemente mostrando l’inadeguatezza dell’esercito invasore che ha subìto gravi sconfitte sul campo. Questo ha gettato una luce sinistra sullo zar, sulla sua capacità di dominare gli eventi e rimanere al potere, ma ha anche posto domande drammatiche sul futuro che attende la Russia.
Gli studiosi sono ormai concordi nel definire l’invasione dell’Ucraina come il principale errore strategico di Putin, una mossa mal congegnata, mal organizzata, pessimamente condotta e gestita. Nella seconda metà del 2022 gli ucraini hanno conseguito una serie di vittorie spettacolari nella regione di Kharkiv, hanno espulso le truppe nemiche dalla città di Kherson, l’unica capitale regionale che era stata occupata da Mosca. Il ritiro da Kherson ha rappresentato inoltre un’umiliazione personale per Putin, che solo poche settimane prima aveva presenziato a una cerimonia per sancire l’unione eterna della città alla Russia. Le sconfitte sul campo hanno innescato una corsa alle responsabilità che ha portato a una girandola di sostituzioni dei capi militari.
Le gravi carenze dell’esercito di Mosca
L’ultimo arrivato, nell’ottobre dello scorso anno, era stato il generale Sergei Surovkin, noto anche come “Generale Armageddon”, l’uomo che aveva bombardato ferocemente le città siriane fino a trasformarle in una massa fumante di rovine e aveva replicato la stessa strategia brutale anche in Ucraina, colpendo centrali elettriche, centri abitati, snodi viari, ospedali. Ma la determinazione spietata non è stata sufficiente a colmare le carenze logistiche, l’impreparazione di fondo, l’incapacità di adattarsi a un avversario mobile e ben addestrato. A metà gennaio 2023, con una mossa che ha un significato politico più che militare, Surovkin è stato retrocesso a vice di Valery Gerasimov, il Capo di stato maggiore della difesa a cui viene impropriamente attribuita la dottrina russa di guerra ibrida. Ma la nomina di Gerasimov per una “operazione militare speciale” che, come Putin ripete ossessivamente, “sta conseguendo tutti i suoi obiettivi”, è una oggettiva ammissione di debolezza e sconfitta.
Il problema vero è che l’invasione è stata voluta e diretta da Putin e dalla sua ristrettissima cerchia di potere che, evidentemente, hanno fatto gravi errori di valutazione, arrivando a credere alla propria propaganda e fallendo clamorosamente nel decifrare certi segnali. Per paura dei complotti di palazzo, negli ultimi vent’anni Putin si è circondato di assolute nullità che non sono stati in grado di dargli consigli adeguati. Inoltre, la corruzione, usata ampiamente dal Cremlino per conquistare e mantenere il potere, non solo ha un pesante costo sociale ma ha danneggiato l’efficienza delle strutture militari. Ha fatto scalpore il fatto che, dopo quindici anni di sforzi e centinaia di miliardi di dollari investiti nella modernizzazione, alcune armi a guida di precisione mancassero il bersaglio oppure che la corazza reattiva di alcuni carri armati di ultima generazione fosse stata riempita di gomma, invece che di esplosivi.
La corruzione ha contribuito a peggiorare i problemi storici dell’apparato militare come l’inadeguatezza della catena di comando, una logistica scadente e il morale delle truppe molto basso. Gli esperti militari occidentali concordano inoltre sul fatto che gli ufficiali russi non padroneggiano adeguatamente alcune tattiche complesse come le operazioni di forze combinate o la distruzione delle difese aeree del nemico. Ad esempio, durante il fallito tentativo di conquistare Kyiv nelle prime settimane di guerra, le colonne di mezzi corazzate sono penetrate nelle aree urbane senza avere l’appoggio della fanteria, mentre l’aviazione russa continua a volare principalmente sui territori che controlla per paura di veder abbattere i propri velivoli. Il primo errore dello zar è stato quello di iniziare l’invasione con una forza di 150mila soldati, mentre per sedare le proteste nella Cecoslovacchia nel 1968 erano stati utilizzati ben 600mila militari, per un Paese che era soltanto un quinto dell’Ucraina. Viste le difficoltà sul campo, a settembre 2022 è stata proclamata una mobilitazione parziale che dovrebbe portare sul campo 300mila reclute e si è anche ventilata la possibilità di arrivare a cifre ancora maggiori. Ma senza il sostegno dei mercenari della Wagner dell’oligarca Yevgenij Prigozhin o dei macellai ceceni al comando di Ramzan Kadyrov, la situazione sarebbe stata ancora peggiore.
La massiccia presenza di milizie e il ruolo di primo piano che Prigozhin e Kadyrov, personaggi al di fuori delle gerarchie ufficiali, si stanno ritagliando sul campo e sui media russi non fanno altro che aumentare il nervosismo dei militari che stanno pagando un prezzo altissimo in termini di vite umane; sono inoltre coperti di biasimo e insulti e pagano per scelte errate fatte a livello politico. Durante la sanguinosa Guerra cecena (1994-1996) il generale Alexander Lebed, diventato successivamente un popolare uomo politico, dichiarò alla stampa: “Ogni volta gli ordini erano espliciti e venivano dai massimi livelli…e ogni volta, quando noi [i militari] avevamo fatto il lavoro sporco, loro [i politici] se la svignavano e lasciavano noi a prenderci tutta la colpa…Credetemi, l’esercito non permetterà mai che succeda di nuovo”. Molta acqua è passata sotto i ponti, il generale Lebed è scomparso in un incidente d’elicottero nel 2002, ma non ci vuole molta fantasia per immaginare il profondo disagio e frustrazione in cui versa oggi l’apparato militare.
Perché Kyiv sta vincendo
L’invasione dell’Ucraina è iniziata il 24 febbraio del 2022, dopo anni di accurati preparativi in cui agenti russi erano stati infiltrati nelle strutture governative locali, avevano reclutato ufficiali ucraini perché si schierassero con Mosca al momento giusto ed erano state distribuite molte mazzette per facilitare l’operazione. I servizi segreti di Mosca avevano redatto corposi rapporti sul fatto che la popolazione vedeva con favore la “riunificazione” con la madre patria. Tutti gli studi erano stati fatti in modo diligente e accurato ma avevano un difetto grave: non fotografavano la realtà. Putin stesso non aveva assolutamente capito che l’adesione degli ucraini alle idee e al modello occidentale di democrazia era profonda e irreversibile. Non si trattava di un sofisticato complotto gestito dalla Nato. La grande maggioranza della popolazione desiderava sinceramente chiudere col grigiore burocratico, con l’economia centralizzata, con la repressione politica imposta dal regime autoritario.
I cittadini ucraini si sono rivelati molto diversi da quelli russi, hanno messo in luce uno spirito
nazionale fiero ma aperto al mondo e, una volta capito che il destino del proprio Paese era a rischio, hanno deciso di combattere e morire per ciò in cui credevano. Dopo l’arrivo delle truppe di invasione, la popolazione si è riversata in massa nei centri di reclutamento o nei gruppi di difesa territoriale, dimostrando sul campo la falsità della teoria putiniana secondo cui l’Ucraina era una pura convenzione geografica. Non soltanto l’Ucraina esisteva ma aveva anche decine di migliaia di cittadini pronti a dare la vita per quella che ritenevano la loro patria. Putin si era sbagliato anche sul conto del presidente Volodymyr Zelensky, un comico russofono, che si è invece dimostrato una coraggiosa e abilissima guida politica in tempo di guerra.
Nei durissimi mesi seguiti all’invasione, gli ucraini hanno evidenziato una grande apertura all’innovazione, l’attitudine a operare in gruppi coordinati, la volontà di seguire un‘etica del lavoro e di accettare sacrifici necessari per il bene comune. Sia i militari che la popolazione hanno anche evidenziato grande flessibilità e la capacità di cambiare velocemente tattica di fronte a problemi nuovi da risolvere. Questo tipo di atteggiamento si è quindi tradotto in una maggiore adattabilità a condizioni mutevoli sul campo di battaglia, in una flessibilità mentale che ha permesso di prendere le decisioni giuste in tempi brevissimi. Queste qualità che, come abbiamo visto, latitano nelle forze armate russe, hanno consentito a Kyiv di fronteggiare vittoriosamente l’invasione. È ovvio che senza le informazioni, gli aiuti e gli armamenti occidentali non ci sarebbe stata partita ma è altrettanto chiaro che, a differenza delle truppe di invasione, gli ucraini hanno motivazioni etiche profonde che li spingono a dare il massimo.
I primi scricchiolii
Non sappiamo se il generale Gerasimov riuscirà a capovolgere la situazione sul campo e, nel caso fallisse anche lui, Putin vedrà indebolito un personaggio molto autorevole e punto di riferimento di tutto l’apparato militare. Ma ciò non copre il fatto che, come stratega, Putin si è rivelato totalmente inadeguato e che le operazioni sul campo vanno malissimo. In Russia c’è una lunga storia di cambiamenti di regime seguiti a sconfitte umilianti. La Guerra russo-giapponese del 1904-1905 e la Prima guerra mondiale aprirono la strada alla Rivoluzione d’Ottobre. Il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991 arrivò due anni dopo la fine della catastrofica invasione dell’Afghanistan. Oggi Putin non ha rivali visibili e, nonostante tutto, continua a godere del sostegno della maggioranza della popolazione. Ancora per qualche tempo potrà contare sulla grande liquidità che si è procurata con l’aumento dei prezzi di gas e petrolio ma, sul medio periodo e senza cambiamenti sostanziali sul campo, le cose potrebbero diventare molto preoccupanti per lui e per il Paese che domina con pugno di ferro.
Il pessimo andamento dell’invasione ha fatto esplodere numerose contraddizioni economiche, demografiche e sociali che sono ulteriormente esacerbate dall’arretratezza dell’economia che dipende quasi esclusivamente dall’esportazione di combustibili. Se a questo aggiungiamo che la paura di essere richiamati ha fatto fuggire decine di migliaia di tecnici e specialisti, vediamo che il sistema produttivo russo si trova in grandi difficoltà che non potranno che peggiorare nei prossimi anni. L’effetto delle sanzioni internazionali ha ulteriormente indebolito l’industria russa che non riesce più a procurarsi i componenti avanzati che venivano una volta importati dall’estero. Senza i droni iraniani ci sarebbero problemi ancora peggiori in Ucraina. Non è una bella situazione per quello che finora si è presentato come uno dei più temibili eserciti del mondo, con mezzi all’avanguardia e armi avveniristiche in grado di annichilire ogni avversario.
Alcuni analisti non solo intravedono la sconfitta militare di Mosca ma ritengono che la stessa integrità territoriale russa potrebbe essere rimessa in discussione. Nel luglio del 2022 Janusz Bugajski, senior fellow presso la Jamestown Foundation di Washington DC, ha pubblicato Failed State: A Guide to Russia’s Rupture in cui afferma che la Federazione russa non è riuscita a trasformarsi in uno stato nazionale, in uno stato civico o perfino in uno stato imperiale stabile. L’autore prende in esame il dissolvimento del Blocco sovietico nell’Europa orientale a cui ha fatto seguito il crollo dell’URSS; la rottura della Federazione russa sarebbe la terza fase del crollo dell’impero. Secondo Bugajski la Federazione russa si dibatte in un paradosso esistenziale in cui l’opposizione liberale non è assolutamente nelle condizioni di sostituire il regime. Ma senza pluralismo politico, riforme economiche e autonomia regionale la struttura federale diventerà sempre meno governabile e sarà destinata a implodere.
La resa dei conti è iniziata
Negli anni passati lo zar ha fatto assassinare o rinchiuso in prigione chiunque avesse osato contrastare i suoi disegni. Leggi durissime reprimono ogni forma di dissenso o protesta e Alexei Navalny, l’unica figura pubblica nota che, dalla prigione, continua a criticare Putin, ha un seguito molto ridotto nel Paese. La sconfitta in Ucraina ha però dato un segnale evidente della fragilità del potere russo a cui è consentito tutto ma non la sconfitta. I già ricordati Prigozhin e Kadirov hanno attaccato duramente i militari e i loro fallimenti ma non hanno assolutamente la caratura e il sostegno necessario per aspirare al potere. All’interno del gruppo dei cosiddetti oligarchi sono circolate critiche, sommesse ma ripetute, alla fatale scelta dell’invasione che, a causa delle sanzioni, rischia di colpire pesantemente i loro interessi globali. Il potere dello zar è ancora saldo ma è entrato in una nuova fase che dipende dai risultati della guerra in Ucraina che, realisticamente, molto difficilmente miglioreranno.
La resa dei conti è già iniziata come è evidenziato dalle morti violente di ben dodici personaggi di punta del sistema di potere putiniano, in una successione di uccisioni degna della penna di Agatha Christie. Nei primissimi giorni dell’attacco russo si erano “suicidati” Leonid Shulman e Alexander Tjulakov, alti dirigenti di Gazprom. Il primo viene trovato nella vasca da bagno con vari fori da pugnale al torace. Il secondo, vicedirettore generale del Centro per la Sicurezza del colosso dell’energia, pende da una corda nel garage di casa e mostra segni di colluttazione, il naso rotto ed ematomi da strangolamento al collo. L’Unità della sicurezza di Gazprom arriva sulla scena prima della polizia. In aprile in un quartiere residenziale di San Pietroburgo, era stato trovato ucciso nella sua piscina con tre colpi di revolver Juri Voronov, capo di Astra Shipping e incaricato dei contratti marittimi con Gazprom. Nello stesso mese in un appartamento di Mosca si scoprono i corpi del vicepresidente di Grazprom Vladislav Avayev, della moglie incinta e della figlia di tredici anni.
Il 1° settembre 2022 Ravil Maganov, vicepresidente di Lukoil, cade dal sesto piano dell’ospedale
dove lo stesso giorno Putin sarebbe andato a rendere omaggio alla salma di Michail Gorbačëv. “Morto dopo una lunga lotta contro la malattia”, la versione di Lukoil; eliminato, il sospetto di tutti gli altri, perché per conto del colosso petrolifero aveva espresso l’auspicio d’una “rapida fine del conflitto in Ucraina”. Pavel Antov, deputato dello stesso partito di Putin, nonché imprenditore russo nel campo delle carni e dei salumi, perde la vita il giorno di Natale. Si parla di suicidio: è volato giù da una finestra. Il fatto è avvenuto in India dove Antov era in vacanza con altri amici, uno dei quali due giorni prima era stato trovato morto nello stesso albergo. Antov, il deputato più ricco del parlamento russo, aveva aspramente criticato l’invasione dell’Ucraina, per poi ritrattare gli attacchi. Il malumore dei generali non è finora emerso ma è chiaro che il dissenso serpeggia all’interno delle élite.
Il futuro di Putin e della Russia
Il numero di gennaio/febbraio della rivista Foreign Affairs riporta un lungo articolo firmato da Liana Fix e Michael Kimmage che ipotizza uno scenario in cui una Russia sconfitta tenti una escalation. In questo caso, scrivono gli autori “il Cremlino cercherebbe di prolungare nichilisticamente la guerra in Ucraina e lanciare nel contempo una serie di atti di sabotaggio nascosti in Paesi che appoggiano Kyiv e nella stessa Ucraina. Nel caso peggiore, la Russia potrebbe optare per un attacco nucleare in Ucraina. A quel punto la guerra porterebbe a uno scontro tra la Nato e la Russia. Da stato revisionista, la Russia si trasformerebbe in uno stato canaglia, una transizione che è già in corso, e questo rafforzerebbe la convinzione dell’Occidente che la Russia rappresenti una minaccia unica e inaccettabile. Superare la soglia nucleare potrebbe portare al coinvolgimento convenzionale della Nato nella guerra, accelerando così la sconfitta della Russia sul terreno”.
Nel suo discorso del 21 settembre 2022, nell’annunciare la mobilitazione parziale, Putin aveva fatto riferimento esplicito all’uso dell’arma nucleare, ma la maggioranza degli analisti è convinta che, per ora, gli convenga soltanto sbandierarla per tentare di intimorire gli avversari. Le conseguenze di un attacco nucleare sarebbero catastrofiche non soltanto per la popolazione ucraina. La guerra continuerebbe, senza che i soldati russi sul campo ne possano trarre alcun beneficio, mentre Mosca si troverebbe ad affrontare il biasimo del mondo che, addirittura, potrebbe ipoteticamente creare una coalizione internazionale per sventare ogni futuro pericolo. Lo stesso presidente cinese Xi Jinping, nell’incontro con il Cancelliere tedesco Olaf Scholz nel novembre 2022, ha firmato una dichiarazione in cui i due politici affermavano di “opporsi congiuntamente all’uso o alla minaccia delle armi nucleari”.
Finora la guerra e le sanzioni non hanno avuto un impatto significativo sulla vita dei cittadini russi, almeno fino a quando il Cremlino avrà soldi da elargire a pensionati e agli strati più poveri della popolazione. Ma, nel tempo, la drammatica combinazione di guerra, sanzioni e fuga di cervelli comincerà a mordere più duramente e, a quel punto, tutta la colpa ricadrà sulle spalle di Vladimir Putin che aveva iniziato la sua carriera proclamandosi grande riformatore. Secondo il citato articolo di Foreign Affairs “potrebbero emergere signori della guerra, provenienti dai servizi segreti, e anche movimenti separatisti violenti nelle regioni più in crisi, molte delle quali ospitano grandi minoranze etniche”.
Lo scenario è proiettato in un futuro ancora lontano, ma non possiamo dimenticare quello che è successo ai nostri confini dopo la morte di Tito, con la dissoluzione della Jugoslavia e le guerre sanguinose tra le varie etnie. Mai come ora è necessario che Stati Uniti ed Europa elaborino una strategia congiunta per scongiurare una catastrofe, evitando di ripetere gli errori e le gravi omissioni del 1991. Va ricordato, inoltre, che la Russia è sempre ritornata: dalle rovine del regime zarista nacque l’Unione Sovietica, dalle ceneri dello stato comunista Putin ha fatto risorgere una potenza minacciosa ed espansionista. Nonostante le illusioni di certe Cancellerie, il Paese con la più grande espansione territoriale al mondo non scomparirà tanto facilmente dalle carte geografiche. Parafrasando il film di Marco Bellocchio del 1967 potremmo dire che la “Russia è vicina”, e rimarrà a lungo molto vicina.
Galliano Maria Speri