Il 16 maggio 2024 il presidente russo Putin è stato ricevuto da Xi Jinping durante una sontuosa visita di Stato che ha celebrato la «nuova era» della reciproca collaborazione in un «mondo sempre più multipolare». La visita di Putin ha coinciso con una rinnovata offensiva militare contro Kharkiv e segue di poco la drastica riorganizzazione della dirigenza militare russa, in previsione dell’offensiva di primavera-estate. Mosca ha bisogno del «caro amico» cinese per continuare a sostenere la sua strategia di guerra ma, data l’enorme sproporzione tra le due economie, lo zar potrebbe aver portato la Russia su un sentiero molto, molto pericoloso sul lungo termine.
Non ci sono dubbi che l’ultimo summit tra Xi Jinping e Vladimir Putin abbia rinsaldato i legami tra i due (quello del 16-17 maggio è stato il loro 43esimo incontro), ma non dovremmo commettere l’errore di considerare come un’alleanza inossidabile quello che, oggettivamente, è un matrimonio di interesse. Tra Cina e Russia ci sono enormi differenze storiche, geografiche, culturali, politiche, economiche e di prospettiva strategica. Senza considerare che i due leader hanno caratteri molto diversi. Scalpitante e insofferente Putin, flemmatico e aduso ai tempi lunghi Xi. Il collante temporaneo della loro «amicizia senza limiti» è la comune ostilità verso gli Stati Uniti e l’Occidente in generale, ma le loro prospettive strategiche differiscono notevolmente e questo elemento, prima o poi, si materializzerà.
Un rapporto che viene da lontano
Nel corso di quello che la Cina chiama «il secolo della vergogna», che va all’incirca dal 1839 al 1949, la Russia si unì alle potenze occidentali nel saccheggio del territorio cinese, impadronendosi di diverse aree nella Manciuria esterna. Nel 1950 i due Pesi firmarono un Trattato di amicizia, alleanza e mutua assistenza, grazie alla comune adesione all’ideologia marxista-leninista. In questo periodo l’URSS investì nello sviluppo economico di Pechino e sostenne il disegno cinese di ottenere la boma atomica inviando scienziati e accademici. Ma poi, nei decenni successivi, si arrivò a una vera e propria rottura a causa di un aspro dibattito ideologico, a dispute territoriali di confine, all’ipotesi se sviluppare o meno relazioni con l’Occidente, al sostegno sovietico all’India, nemico storico della Cina. Le tensioni esplosero il 2 marzo 1969 quando militari cinesi aprirono il fuoco su truppe sovietiche che presidiavano un’isola sul fiume Ussuri; circa 50 militari di Mosca persero la vita.
Nel 1980 scade il Trattato di amicizia del 1950 che non viene rinnovato da parte cinese per il rifiuto sovietico di ritirare le proprie truppe dal confine Cina-Russia e dalla vicina Mongolia, per l’occupazione militare dell’Afghanistan e per il costante appoggio di Mosca all’invasione della Cambogia da parte del Vietnam. Nel 1989 il premier Gorbaciov visita Pechino e, sullo sfondo delle proteste pro-democrazia di piazza Tienanmen, offre a Deng Xiaoping la normalizzazione delle relazioni bilaterali. Nel 2001, un decennio dopo il crollo del comunismo, Cina e Russia firmano un Trattato di buona vicinanza e cooperazione amichevole che impegna entrambi gli Stati a non usare reciprocamente armi nucleari e si ripropone di rinforzare la cooperazione.
L’annessione russa della Crimea nel 2014, anche se non riconosciuta da Pechino, accelera i rapporti di collaborazione reciproca. L’anno successivo Xi visita Mosca e lancia un chiaro segnale sulla sua intenzione di approfondire i legami; vengono firmati quasi trenta accordi di collaborazione bilaterale, inclusa la vendita di armi. Mosca fornisce a Pechino sottomarini della classe Kilo, il sistema antimissile S-400, il caccia multiruolo Su-35, e collabora con l’esercito cinese per sviluppare un sistema di allarme precoce contro i missili balistici. Secondo il Center for Strategic and International Studies, un importante centro studi di Washington, l’ultimo ordine di armi russe per la Cina risale al 2019 perché l’industria bellica cinese ha fatto grandi progressi, tanto da diventare uno dei principali produttori mondiali. Non va poi sottovalutato che sia l’India sia il Vietnam (entrambi con rapporti problematici con la Cina) sono importanti acquirenti degli armamenti russi.
La svolta ucraina
La guerra scatenata da Putin contro Kyiv ha rafforzato ulteriormente i legami tra Mosca e Pechino ma ha anche evidenziato chiare differenze sul piano strategico. Come è ben noto, lo zar del Cremlino ha incontrato il leader cinese poco prima di ordinare la sua «operazione militare speciale» contando su una vittoria lampo, come era avvenuto nel 2014 per la Crimea. Le cose sono però andate diversamente e questo ha creato difficoltà crescenti a Xi Jinping. Mentre entrambi i Paesi lavorano per minare il ruolo globale degli Stati Uniti e le loro politiche estere coincidono su molte questioni, hanno però atteggiamenti completamente diversi per quanto riguarda l’attuale ordine globale. Dopo l’invasione dell’Ucraina, la Russia è diventata uno stato paria a livello internazionale, non ha praticamente voce in capitolo negli organismi internazionali (a parte il diritto di veto all’ONU) e basa la sua strategia di influenza sulla vendita di armi e la fornitura di mercenari. La Cina, al contrario, intende agire all’interno dell’ordine esistente, da cui ha tratto enormi benefici negli ultimi trent’anni e sfrutta tutti i vantaggi e le debolezze del sistema. Questa strategia di lavorare dall’interno è esemplificata dal crescente peso cinese negli organismi delle Nazioni Unite. Pechino è favorevole a un ordine internazionale stabile che consenta l’avanzamento, lento ma inesorabile, dei propri interessi.
Per questa ragione ha bisogno di un’economia globalizzata, con catene di rifornimento ben
sviluppate, un accesso facile alle risorse, ai mercati e alle tecnologie essenziali e un insieme di regole e norme flessibili che consentano alla Cina di esercitare il ruolo di grande potenza che si è autoassegnato. Di converso, l’approccio di Putin è molto più anarchico e distruttivo. In un suo studio del marzo 2022 Ryan Hass del Brookings Institution ha definito Putin un «incendiario del sistema internazionale». In un mondo dove viene meno il sistema di regole e norme condivise un personaggio come Putin trova un suo spazio per agire e giocare un ruolo. Probabilmente, è proprio questa la ragione dell’apprezzamento del Cremlino alla presidenza di Donald Trump che aveva legittimato la violazione sistematica di ogni regola, incoraggiava il relativismo morale, credeva nei «diritti naturali» delle grandi potenze e discreditava la nozione stessa di un ordine basato su regole da rispettare.
Putin ha descritto l’invasione dell’Ucraina in termini atavici, come una missione per riappropriarsi di terre storicamente russe. Il 9 giugno 2022, durante un incontro con giovani imprenditori, ingegneri e scienziati, ha paragonato la sua offensiva contro Kyiv all’impresa dello zar Pietro il Grande che, tre secoli prima, aveva conquistato terre appartenenti all’impero svedese. L’enfasi che pone sui diritti storici, piuttosto che su quelli legali, è perfettamente coerente con la sua idea che l’Ucraina non sia un Paese “vero”. Ma resta il fatto che l’attacco a Kyiv resta la più grave violazione dell’ordine internazionale da quando la Corea del Nord invase quella del Sud nel 1950. E questo crea seri problemi a Pechino.
Le differenze di visione strategica
Il problema per lo zar del Cremlino è che non ha i mezzi per proiettare a livello globale le sue aspirazioni da grande potenza. D’altro canto, è un dato di fatto che Cina e Russia condividono 4.300 chilometri di confine e che Mosca è attualmente il principale fornitore energetico di Pechino. Lo sterminato territorio russo rappresenta un importante contrappeso geopolitico agli Stati Uniti e la Cina è ben cosciente che se intende far avanzare la sua proiezione in Eurasia e nell’Artico non può far a meno del sostegno russo. In ogni caso, anche una Russia indebolita o, peggio, destabilizzata, avrebbe un enorme potenziale distruttivo per cui è negli interessi di Pechino mantenere buoni rapporti con l’ingombrante vicino. Ma la Cina non dimentica che, nonostante vari tentativi di contare maggiormente sulle proprie forze, la crescita cinese è influenzata notevolmente dalle esportazioni verso l’Europa e gli Stati Uniti e dal facile accesso alla tecnologia, ai mercati e alle risorse esterne. Il consenso popolare alle politiche del Partico comunista cinese è subordinato a una crescita economica sostenuta, e anche la legittimazione di Xi Jinping dipende dal miglioramento delle condizioni di vita generali.
Per questo motivo non ha mai fornito aiuti militari diretti a Putin per non correre il rischio di incappare nelle sanzioni occidentali che potrebbero pregiudicare i suoi mercati più importanti. Ha però un ruolo centrale nelle triangolazioni che consentono a Mosca di ricevere forniture dall’estero servendosi di piccoli istituti finanziari locali, senza coinvolgere i grandi giganti del credito che hanno un ruolo centrale nella politica globale di Pechino. Un gioco rischioso che ha già causato, insieme ad altri fattori, l’aumento drastico dei dazi statunitensi su molti prodotti cinesi. La vera differenza, però, è che Mosca punta a riconquistare il suo ruolo nello spazio post-sovietico, mentre Pechino ha una visione più ampia e globale con il disegno a lungo termine di creare un ordine mondiale che abbia la Cina al centro degli scambi, servendosi del progetto della Nuova via della seta per consolidare alleanze a livello mondiale. Xi Jinping punta a dominare l’assetto globale dall’interno, mente Putin, che non ha i mezzi per farlo, vuole distruggere l’ordine esistente sperando di trarne vantaggio.
Un’area di potenziale conflitto è anche l’Asia centrale, coinvolta nelle strategie di espansione di entrambi i Paesi con il progetto russo di Unione Economica Euroasiatica e quello cinese di Nuova via della seta. La regione guarda con sempre più interesse a Pechino che, nonostante le difficoltà attuali, rappresenta un’economia più dinamica che esercita un grande potere di attrazione verso le repubbliche ex sovietiche dell’Asia centrale. Se i timori di una rinnovata aggressività russa dovessero aumentare questi Paesi sarebbero costretti a orientarsi sempre di più verso Pechino e questo innescherebbe tensioni crescenti con Mosca.
I rapporti di forza
Abbiamo già visto che Russia e Cina non sono legati da un formale trattato di alleanza militare che li obblighi a intervenire in soccorso dell’altro. Hanno in comune l’ostilità verso l’Occidente che ritengono indebolito e in declino. Ma la saldezza di questo rapporto, a prescindere dalle dichiarazioni ufficiali, è messa in discussione proprio dalla grande disparità dei mezzi a disposizione dei due «cari amici». A livello demografico la Cina supera la Russia di dieci volte e per il Prodotto interno lordo il rapporto è di 15 a 1. È vero che l’interscambio commerciale è arrivato a 240 miliardi di dollari nel 2023 (era di 190 miliardi nel 2022) ma mentre la Cina è il principale partner commerciale della Russia, rappresentando il 26 per cento degli scambi, il commercio con Mosca equivale soltanto al 3 per cento di quello cinese (dati Observatory of Ecoomic Complexity riferiti al 2022).
Mosca è solo una tessera nella strategia di espansione globale di Pechino che considera l’alleato principalmente come fornitore di materie prime, non solo nel settore energetico ma anche per quanto riguarda l’agricoltura. Nel riportare i vari temi affrontati durante il summit il Global Times, legato all’ala più nazionalista del Partito comunista cinese, ha riferito di intense discussioni tra esperti dei due Paesi per trasformare la Russia nel principale fornitore di soia di Pechino. Attualmente, le importazioni cinesi di soia sono dominate dal Brasile, che copre il 70 per cento e dagli USA (24 per cento). Il clima russo è ideale per la produzione di soia e i cinesi insistono perché vengano aumentati gli investimenti nel settore in modo da ridurre la dipendenza dagli Stati Uniti, visto l’intensificarsi delle tensioni commerciali con Washington.
Se il reddito pro capite di cinesi e russi è più o meno identico, c’è una differenza impressionante per quanto riguarda le spese militari cinesi che, per il 2022, superano di tre volte quelle russe (292 miliardi di dollari, contro 86). C’è però un dato che deve farci riflettere e che mostra l’enorme sproporzione tra i due Paesi. Nel 2020 la Russia ha investito nel settore della ricerca e sviluppo 43 miliardi di dollari, mentre la Cina ne ha investiti 566 (dati Council on Foreign Relations)! Questo significa che le capacità di innovazione della Cina sono enormemente superiori e che la dipendenza di Mosca, sic stantibus rebus, non potrà che aumentare. Poiché la recente strategia di Putin mostra che è incapace di imparare dai propri errori e che di fronte ai fallimenti alza la posta e il tono delle minacce, questo potrebbe aprire crepe serie nel rapporto tra l’orso e il dragone. Il 2 novembre 2022 il Cancelliere tedesco Scholz in visita a Pechino e Xi Jinping firmarono un documento congiunto in cui condannavano «la minaccia o l’uso di armi nucleari». Da allora, la minaccia russa di usare armi nucleari tattiche rischia di diventare quasi routine. Per la sua strategia Pechino ha bisogno di stabilità e lo sbandierare l’arma nucleare non favorisce certo il suo disegno a lungo termine.
Pechino vuole servirsi di Mosca per raggiungere i suoi obiettivi nell’Indo-Pacifico: invadere Taiwan, dominare il Mar cinese meridionale, tenere il Giappone sotto pressione e gestire in qualche modo l’India. Ha bisogno di prodotti energetici e agricoli a basso costo e intende portare avanti una collaborazione militare selettiva. Ma non ha nessun intenzione di farsi coinvolgere nei conflitti della Russia né di diventare il suo finanziatore. Pechino ha tutto l’interessa a evitare un tipo di rapporto simile a quello con la Corea del Nord che non comporta grandi vantaggi e rischia di costringere i cinesi a intervenire in sostegno di un regime in perenne crisi economica.
Per questa ragione Xi Jinping tratta Putin con molto rispetto, ben cosciente che, in caso contrario, il Cremlino potrebbe fare danni enormi. Questo rapporto di crescente dipendenza potrebbe creare tensioni all’interno delle forze nazionaliste russe, visto che la sostituzione del ministro della Difesa Shoigu e la successiva riorganizzazione del comando delle forze armate ha seguito le linee delle accuse formulate da Evegenij Prigozhin, il deceduto comandate del Gruppo Wagner. Una situazione molto complessa e pericolosa. Le elezioni statunitensi del prossimo 5 novembre potrebbero rivelarsi come le più importanti dalla fine della Seconda guerra mondiale, visto la posta in gioco.
Galliano Maria Speri
(La foto di copertina è tratta da un rapporto dell’ISPI del 16 maggio 2024)