È innegabile che per un cittadino europeo di oggi il ritorno della guerra, in un continente che si illudeva di averla archiviata per sempre, sia la preoccupazione principale. Le immagini di morte e distruzione provenienti quotidianamente dall’Ucraina ci colpiscono e preoccupano ma, proprio per tale ragione, dobbiamo fare uno sforzo mentale per comprendere meglio le dinamiche che ci hanno portato fin qui, evitando i facili schieramenti proposti dalle forze contrapposte. Un saggio di Carolina De Stefano, che scandaglia la natura e la dinamica del potere in Russia, offre una serie di spunti e riflessioni.
Uno dei pregi del volume, che ripercorre la storia della Russia contemporanea, dalla sua nascita fino ad oggi, è la scrittura scorrevole e informata che punta alla spiegazione dei fenomeni evitando fumosità accademiche. L’invasione dell’Ucraina rende fondamentale comprendere l’evoluzione del potere in Russia che, dal periodo zarista fino alla dittatura putiniana, si è sempre basato su una concezione autoritaria e centralizzata dell’autorità. Il saggio dimostra altresì che parallelamente alla grandiosa espansione territoriale si è anche innescata una rincorsa affannosa (e perdente) di modelli sociali ed economici più dinamici, sviluppati e aperti. L’autrice è docente di Storia e politica russa all’Università Luiss Guido Carli, e partecipa attivamente al dibattito sulla politica internazionale con interventi televisivi, radiofonici e sulla stampa.
L’orso perde il pelo ma non il vizio
La mitica Rus’ di Kyiv, base fondamentale delle rivendicazioni espansionistiche di Putin, non avendo organizzazione e burocrazia, in realtà non può essere considerata uno Stato, ma una rete di piccoli insediamenti in un’area che comprendeva l’attuale Bielorussia, il Nord dell’Ucraina e parte della Russia europea. Quello che appare invece chiarissimo è il rapporto simbiotico che viene a instaurarsi ab ovo tra il potere politico e la religione che ne fornisce la giustificazione. “La scelta – scrive l’autrice- di non adottare il cattolicesimo incarnato dalla Chiesa d’Occidente, ma di abbracciare la religione della Chiesa d’Oriente…contribuì a dare alla Russia un’identità ‘a sé’ tra le grandi potenze europee: cristiana come le altre – meno lontana culturalmente dei popoli pagani o di altre religioni non cristiane – ma con un’organizzazione autonoma e differente ”.
Il nuovo zar pretende di mettere la Russia a capo di un movimento di duri e puri che salvino la grande tradizione culturale moscovita investita dalla missione di combattere contro la decadenza dell’Occidente. Eppure, se la Russia è arrivata a contare nella storia mondiale è stato anche grazie alle riforme mutuate dall’Europa, oggi accusata di ogni nefandezza. Oltre ad aver esteso a nord e a sud l’impero, lo zar Pietro I cercò di imporre una europeizzazione forzata al suo regno arretrato, avviando la costruzione di una burocrazia di governo organizzata in ministeri e dividendo il Paese in governatorati. Pietro fondò anche una città moderna, pianificata con il contributo di architetti stranieri (tra cui molti italiani), a cui diede il proprio nome e che divenne la finestra della Russia sull’Europa e sul mondo. Putin, che viene proprio da San Pietroburgo, non fa certo onore alla tradizione illuministica della città.
Caterina II, l’altra grande riformatrice, non era nemmeno russa ma tedesca, visto che si chiamava Caterina Sofia Augusta di Anhalt-Zerbst. A lei si deve la grande espansione dell’impero che arrivò al Mar Nero e, a nord, conquistò la Bielorussia orientale, la Lituania e parte della Polonia. Grazie a lei, la Russia acquisì le caratteristiche di grande impero multietnico. Se fino al suo regno l’85 per cento della popolazione era russa, dopo le varie acquisizioni, il dato era sceso al 70 per cento. Un problema aggiuntivo era inoltre che alcune popolazioni soggiogate, come i polacchi o i lituani, erano più sviluppati e civili del regno che li dominava. Il potere di Mosca si allarga sotto la zarina ma con lei si accentua il divario tra un’élite minoritaria, colta e aperta, e la maggioranza della popolazione. Nell’Ottocento, l’intellighenzia si divise tra i cosiddetti slavofili –che ritenevano necessario valorizzare il patrimonio e i valori tradizionali russi- e gli occidentalisti, come il filosofo Pëtr Čaadaev, che vedevano l’Europa come possibile modello da imitare per far avanzare il Paese. Questo dibattito sembra ancora estremamente attuale, anche se gli occidentalisti russi sono scappati all’estero, sono morti o languiscono in prigione.
La coazione a ripetere gli stessi errori
Nell’ultimo secolo, soprattutto dopo la Rivoluzione di ottobre, la Russia si è trovata al centro non della storia europea ma di quella mondiale, e ha rappresentato un punto di riferimento a cui guardavano i Paesi ex coloniali che agognavano l’indipendenza, associata a una crescita economica che li affrancasse dalla povertà e dal sottosviluppo. Ma quel modello non ha saputo reggere il confronto con la storia. Il crollo del comunismo ha cause profonde che De Stefano indentifica, tra altri fattori, nella bassa produttività dell’agricoltura, nella mancata modernizzazione dell’industria, nelle carenze strutturali dell’economia e nella corruzione, il corollario naturale di un’economia pianificata. La miccia che innescò la fase finale del collasso fu l’invasione dell’Afghanistan del 1979, pianificata come un’operazione lampo in sostegno del nuovo governo socialista e per contrastare gli Stati Uniti che appoggiavano la guerriglia islamica. Dopo dieci anni di scontri feroci, l’Armata rossa dovette ritirarsi ingloriosamente e piangere i suoi 15mila morti (circa un decimo delle perdite russe nella guerra contro l’Ucraina).
Nel 1992, approfittando del caos che era seguito a un tentato colpo di stato, la Cecenia, una repubblica a maggioranza musulmana, si dichiarò indipendente da Mosca e Boris El’cin, succeduto a Michail Gorbacev, che aveva tentato invano di riformare una struttura irriformabile, decise di intervenire militarmente. Si temeva che la Cecenia potesse costituire un precedente pericoloso e potesse nascere da lì una Confederazione delle montagne del Cucaso, ispirata all’impresa di Imam Shamil, che tra il 1834 e il 1859 aveva guidato una ribellione anti russa. L’invasione, iniziata nel dicembre del 1994, era stata pensata come un blitz che invece si risolse in un disastro e comportò perdite ingenti per i russi e massacri terribili per i civili ceceni. Nel 1996 El’cin fu costretto a dichiarare un cessate il fuoco e a siglare un trattato di pace l’anno seguente. L’onta fu gravissima e costituì una delle motivazioni che portarono Putin, successore di El’cin, a iniziare la Seconda guerra cecena che, con metodi feroci e facendo terra bruciata, impose l’ordine dei sepolcri sulla Cecenia. Ma poi con l’Ucraina è successo che anche il furbissimo e brutale Putin abbia ordinato per la terza volta una guerra lampo che si è invece risolta in un disastro umiliante.
Oltre a non cavarsela granché con i blitz, la Russia ha un serio problema con le riforme economiche e la modernità visto che ancora oggi, mentre il mondo avanzato lavora sui supercomputer e l’intelligenza artificiale, Mosca continua a puntare tutte le sue carte sull’esportazione di petrolio, gas e minerali. Dopo essersi convinto che le “rivoluzioni colorate” del 2003 e 2004, che trionfarono in Georgia e Ucraina, non fossero altro che un piano subdolo degli odiati e corrotti occidentali per imporre ai russi il loro stile di vita, il nuovo zar ha iniziato un’offensiva politica e militare contro quelli che percepisce come “nemici” della Santa Russia.
Con una serie di misure legislative Putin ha ridisegnato il sistema giuridico che, a tutti gli effetti, lo trasforma in un autocrate con i poteri di uno zar. Ha zittito o assassinato gli avversari, incarcerato gli oppositori politici, ridimensionato drasticamente gli oligarchi ma non ha saputo usare la sua supremazia schiacciante per modernizzare l’economia. Nella grande riforma costituzionale, che gli ha conferito poteri quasi assoluti, viene anche sancito il ruolo della chiesa ortodossa russa e questo va di pari passo con l’identificazione crescente dello Stato con la cultura e la popolazione russa, riportando il Paese ai tempi precedenti il regno di Caterina II. Visto che la guerra contro l’Ucraina è ancora in corso, non possiamo sapere come si evolveranno gli eventi, anche se la storia millenaria della Russia presenta una serie di problematiche che tornano a riaffacciarsi. La lettura di questo saggio può essere molto utile per chi vuole farsi un’idea più approfondita delle dinamiche del potere in Russia ed evitare, magari, quelle grossolane volgarità che vengono vomitate giornalmente su rete e televisioni.
Carolina De Stefano
Storia del potere in Russia
Dagli zar a Putin
Morcelliana/Scholé, pp.224, € 16
Galliano Maria Speri
(L’immagine di copertina ritrae lo stemma di Nicola II, l’ultimo zar di Russia)