La cruda realtà di cui i politici non riescono a tenere conto

Il 6 dicembre 2024 è stato presentato il 58° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese che descrive, come avrebbe detto Machiavelli, l’Italia com’è e non come ci piacerebbe che fosse. L’autorevolezza della fonte conferisce ancora più peso alla fotografia impietosa dei vari aspetti della realtà nazionale che stridono con i toni trionfalistici del governo (ci sono, ovviamente, anche sviluppi positivi e buone prospettive) ma il problema di fondo rimane la tendenza della classe politica, presente e passata, a non affrontare e risolvere i problemi rinviandoli costantemente a un futuro mai definito. Purtroppo, il contesto globale non consente più il piccolo cabotaggio e le questioni finora irrisolte vanno seriamente prese di petto, senza pensare ai guadagni elettorali ma soltanto all’interesse dell’Italia.

Nel 1516 Erasmo da Rotterdam e Tommaso Moro pubblicarono rispettivamente L’educazione del principe cristiano e Utopia, due testi fondamentali che si ripromettevano di educare i prìncipi a essere governanti saggi e generosi. Visto che di lì a poco l’Europa fu consumata dalle feroci fiamme delle guerre di religione non si può certo dire che il lavoro dei due grandi intellettuali ebbe notevoli effetti pratici per cui c’è da augurarsi che, anche se a un livello molto diverso, il Rapporto Censis trovi orecchie più attente rispetto a quelle dei prìncipi del Cinquecento. È vero che, tutto sommato, le infrastrutture sociali reggono, il sistema previdenziale continua a essere sufficientemente robusto e articolato, le istituzioni finanziarie hanno mostrato flessibilità e solidità, al pari dei grandi attori dell’industria, del mercato energetico, assicurativo e dei servizi avanzati. Ma è un dato di fatto che dopo la vigorosa ripresa post-pandemica, sostenuta però da un pesante indebitamento pubblico, le prospettive di crescita dell’Italia si stanno progressivamente indebolendo.

Realtà e propaganda

Di fronte a questo dato oggettivo, abbondantemente suffragato dalle statistiche, lo strombazzamento dei risultati positivi sui mezzi di informazione, riguardanti gli investimenti, le esportazioni, il rigore nei conti pubblici, non riesce a coprire gravi difficoltà di fondo. Rimangono ancora tante fragilità strutturali del Paese, «ovvero la condizione critica di alcune infrastrutture portanti, materiali e immateriali: nel trasporto e nella logistica; nelle telecomunicazioni e nel digitale; nel sistema formativo e nel mondo dei soggetti di rappresentanza; nelle banche dati e nei servizi di amministrazioni pubbliche; nelle reti e negli istituti di ricerca di base e applicata; nell’impossibilità di invertire il senso di marcia del cosiddetto brain drain dei nostri migliori talenti».

In un contesto in cui i servizi sociali subiscono tagli notevoli per le drastiche limitazioni nel bilancio dei ministeri, il rapporto rivela che l’economia sommersa continua a crescere e si sta avvicinando ai 200 miliardi di euro, sottratti al fisco e agli investimenti pubblici. «Nel commercio, nell’edilizia, nella ristorazione, nei servizi, gli imprenditori stranieri rammendano un tessuto territoriale e produttivo che è stato lacerato dalla crisi. Non mancano, in sintesi, soggetti e progetti di spinta in avanti e di innovazione sociale diffusa: resterà da vedere quanto fiato hanno nei polmoni per proseguire la corsa e trascinare il resto». Nel nuovo contesto internazionale non sarà più possibile continuare a praticare lo sport nazionale del galleggiamento. «Resta l’antico vizio di una scarsità di direzione, di un’assenza di traguardi e di coraggio per affermarli. È faticoso dare direzione allo sviluppo, immaginare una rotta e seguire una tabella di navigazione».

Ci sono dati su cui dobbiamo riflettere perché indicano una tendenza preoccupante per i prossimi

Il 19% degli italiani non sa che Mazzini è uno dei padri fondatori di questo Paese.

anni. Le cifre dimostrano lo sfibramento del ceto medio, i cui redditi sono diminuiti del 7% rispetto a vent’anni fa, e la diffusione di idee antioccidentali e critiche verso le democrazie liberali, le istituzioni europee e l’atlantismo. «Il 66% degli italiani incolpa l’Occidente dei conflitti in corso e solo il 31% è d’accordo con il richiamo della Nato sull’aumento delle spese militari. Intanto si infiamma la guerra delle identità sessuali, etnico-culturali, religiose, in lotta per il riconoscimento. Mentre è in atto una mutazione morfologica della nazione (l’Italia è prima in Europa per acquisizioni di cittadinanza: +112% in dieci anni). Siamo preparati culturalmente?». Ci sono risposte che sollevano grossi dubbi a questo proposito. Secondo il 19% degli italiani Mazzini è stato un politico della prima Repubblica, mentre per il 32% la Cappella Sistina è stata affrescata da Giotto o da Leonardo.

Qual è il modello di sviluppo?

Certamente ci sono anche dati positivi che segnano una ripresa nelle attività economiche ma se oltre al dato grezzo vengono fatte analisi qualitative si vede che nel sistema-Italia i conti non tornano perché l’aumento del numero degli occupati non ha visto il Pil crescere di pari passo, e questo indica il passaggio verso lavori meno qualificati e meno pagati. La distanza tra il tasso di occupazione italiano (siamo ultimi in Europa) e la media europea resta ancora significativa: 8,9 punti percentuali in meno nel 2023. Se il nostro tasso di attività fosse uguale a quello medio europeo, potremmo disporre di 3 milioni di forze di lavoro aggiuntive, e se raggiungessimo il livello europeo del tasso di occupazione, supereremmo la soglia dei 26 milioni di occupati: 3,3 milioni in più di quelli registrati nel 2023. All’aumento del turismo ha corrisposto a una diminuzione della produzione industriale, un modello di sviluppo che ci allontana ulteriormente dalle economie avanzate che hanno nella ricerca tecnologica la loro spinta propulsiva.

Un altro indicatore preoccupante è che tra il 2013 e il 2023 si è registrato un aumento del 23% in termini reali della spesa sanitaria privata pro-capite, che nell’ultimo anno ha superato complessivamente i 44 miliardi di euro. Al 62,1% degli italiani è capitato almeno una volta di rinviare un controllo medico, accertamenti diagnostici o visite specialistiche perché la lista di attesa negli ambulatori del Servizio sanitario nazionale era troppo lunga e il costo da sostenere nelle strutture private era considerato troppo alto. Al 53,8% è capitato di dover ricorrere ai propri risparmi per pagare le prestazioni sanitarie necessarie. Sul fronte previdenziale, il 75,7% pensa che non avrà una pensione adeguata quando lascerà il lavoro. In particolare, è l’89,8% dei giovani ad avere questa certezza.

Ma il dato forse più preoccupante è quello che riguarda i giovani. Secondo il rapporto «il 58,1% dei giovani di 18-34 anni si sente fragile, il 56,5% si sente solo, il 51,8% dichiara di soffrire di stati d’ansia o depressione, il 32,7% di attacchi di panico, il 18,3% accusa disturbi del comportamento alimentare, come anoressia e bulimia. Solo in alcuni casi si arriva a una vera patologia conclamata: un giovane su tre (il 29,6% del totale) è stato in cura da uno psicologo e il 16,8% assume sonniferi o psicofarmaci. Ma c’è anche una maggioranza silenziosa fatta di giovani che mettono in gioco strategie individuali di restanza o rilancio per assicurarsi un futuro migliore, in Italia o all’estero. Dal 2013 al 2022 sono espatriati circa 352.000 giovani tra i 25 e i 34 anni (più di un terzo del totale degli espatri). Di questi, più di 132.000 (il 37,7%) erano in possesso della laurea. Negli anni i laureati sono aumentati: nel 2013 erano il 30,5% degli emigrati dall’Italia, nel 2022 erano diventati il 50,6% del totale». C’è molto materiale per riflettere. Abbiamo una classe politica all’altezza?

 Galliano Maria Speri