Le tensioni militari al confine ucraino dimostrano l’urgenza di affrontare la questione russa, al di là dei preconcetti o dei sensi di superiorità di certi teorici. Putin non è un satrapo orientale come tanti, ma è alla testa del più esteso Paese del mondo con un potenziale nucleare in grado di infliggere danni irreparabili agli USA e all’Europa. Per questo bisogna elaborare una strategia efficace verso Mosca che, finora, non si è concretizzata. La Russia non va demonizzata o vezzeggiata, ma compresa nella sua complessità storica e geografica. Un ponderoso saggio affronta con uno sguardo libero le principali tematiche che hanno modellato la politica post-sovietica.
Nel febbraio del 2019 il sociologo Ilvo Diamanti pubblica un sondaggio su Repubblica che evidenzia “un aumento del disagio” degli italiani verso la Francia, il “disincanto” verso USA e Germania e, invece, una “crescita della stima” per la Russia. Durante il dibattito per la presentazione di un libro, Francesca Sforza della Stampa chiede alla giornalista russa Zoja Svetova quale fosse, secondo lei, il motivo dell’apprezzamento della Russia in Europa ma, soprattutto, in Italia. La sua risposta è fulminante: “Mancanza di informazione”. Il comunismo è ormai caduto da trent’anni, ma il dibattito sulla Russia sembra sempre venato da un’accesa distorsione ideologica. Un interessante contributo per fare il punto sulla situazione viene da Mattia B. Bagnoli, responsabile dell’ufficio di Mosca dell’ANSA, che ha pubblicato un corposo e articolato libro in cui cerca di leggere in modo accurato la complessa realtà del Paese che è succeduto all’Unione Sovietica.
Dal pragmatismo neutrale al sovranismo aggressivo
La Russia è oggi saldamente nelle mani del presidente Vladimir Putin che controlla capillarmente la macchina statale, il sistema giudiziario, il mastodontico apparato produttivo nazionalizzato, l’informazione radiotelevisiva (nella carta stampata ci sono ancora voci che mostrano una certa indipendenza) e, nonostante tutto, gode dell’appoggio della maggioranza della popolazione, anche se cominciano ad apparire crepe nel consenso. Secondo l’autore, l’attuale strategia del Cremlino appare abbastanza chiara e va nella direzione della ricostruzione di una superpotenza che possa interpretare a livello globale quello che è stato il ruolo dell’Unione Sovietica. Putin è un acceso sovranista, convinto sostenitore della necessità di creare un polo alternativo, anche a livello culturale, alle liberal-democrazie. Ma non è sempre stato così.
Nel 1999, quando esordì come Primo ministro del presidente Boris El’cin, Putin era favorevole all’occidentalizzazione della Russia e, una volta succeduto a El’cin, prese attivamente parte alla “guerra al terrore” seguita all’11 settembre, mettendo a disposizione degli Stati Uniti una base militare nel Kirghizistan per condurre le operazioni militari in Afghanistan. Non essendo un ingenuo, Putin aveva intuito che la guerra senza quartiere al terrorismo gli avrebbe lasciato le mani libere per intervenire brutalmente in Cecenia. Dopo la sconfitta dei talebani, Mosca si sarebbe aspettata la riconsegna immediata della base che fu invece tenuta fino al 2004, mandando Putin su tutte le furie. Uno screzio pesante ci fu poi con la guerra contro l’Iraq nel 2003. Il dittatore iracheno Saddam Hussein era un cliente russo e Mosca sapeva perfettamente che nel Paese non c’erano armi di distruzione di massa. Nel giugno del 2003 Putin si reca a Londra per una visita di Stato di quattro giorni, durante la quale vengono firmati accordi commerciali pesanti e durante un discorso ufficiale dichiara solennemente che “la Russia è parte integrante dell’Europa” e che vi è un “interesse reciproco” ad avere buoni rapporti poiché l’economia russa ed europea “si completano a vicenda”.
Sperando di forgiare un accordo strategico con l’Occidente, Putin non reagisce neppure quando
gli USA si ritirano dal trattato ABM e, nel 2004, danno il via a una seconda ondata di espansione della NATO nell’Europa dell’Est, includendo Estonia, Lituania e Lettonia, arrivando direttamente ai confini russi. Ma oltre a questo, gli USA si “dimostravano riluttanti a ratificare il trattato sulle forze convenzionali in Europa, pianificavano la creazione dello scudo missilistico (sulla carta contro l’Iran) e alle porte vi era la possibilità di nuovi ingressi nella NATO, questa volta per l’Ucraina e la Georgia”. Nel 2005, determinato a salvare il salvabile nelle relazioni con gli Stati Uniti, Putin punta tutte le sue carte su un incontro col presidente Bush, appena rieletto per un secondo mandato, presentandosi con una lista dei punti dolenti. Ma invece di essere ascoltato, riceve una serie di lezioncine sulla libertà di parola, i diritti umani, la Cecenia e via dicendo. È la rottura. In un discorso a Monaco nel 2007 lo zar assume una posizione da antagonista poiché ritiene di essere stato “tradito” da USA ed Unione Europea e che non ci siano più gli estremi per un’alleanza strategica tra Mosca e il Patto Atlantico.
Il gigante dai piedi d’argilla
Persa qualunque prospettiva di collaborazione reciproca con le democrazie occidentali, il nuovo zar non ha avuto remore nella sua campagna di annichilimento dell’opposizione interna e di repressione di ogni forma di stampa libera. La lunga lista di reporter arrestati o assassinati è impressionante ma se ci si chiede come mai Putin goda ancora di un notevole sostegno da parte della popolazione bisogna leggere i dati economici del ventennio putiniano. “Nel 1999 –scrive Bagnoli- l’aspettativa di vita era a 65,9 anni mentre nel 2017 era risalita a 72,1. Nel 1999 si sono registrati 31.100 fra omicidi e tentati omicidi mentre nel 2018 il dato è sceso a 8.600. lo stipendio medio mensile in rubli, sempre nel 1999, era di 1.523 mentre nel 2018 ammontava a 43.724. Se poi guardiamo i cittadini sotto la soglia di povertà, nel 1999 ammontavano a 41,6 milioni mentre nel 2018 si fermano a circa 19 milioni. D’altra parte il PIL, in dollari, nel 1999 era di 196.907 mentre nel 2018 è salito a 1.658.000”.
Oggi la situazione sta velocemente peggiorando, a causa delle sanzioni occidentali e della crisi legata alla pandemia. Putin ha dovuto imporre una drastica e impopolare riforma del sistema pensionistico ma, soprattutto, sono venuti al pettine i problemi storici dell’economia russa: l’accentramento in poche mani dei grandi giganti produttivi, una burocrazia corrotta e inefficiente, esportazioni basate principalmente sugli idrocarburi. Non tutte le grandi imprese si occupano di energia, esistono anche strutture di eccellenza ma, per la natura stessa del sistema di potere, i dirigenti sono nominati dallo zar e questo ha creato una situazione di opacità e corruzione. Il debito pubblico di Mosca è molto basso, la tassazione è moderata e la manodopera molto economica. Sulla carta il Paese è molto attraente e precede il Giappone, la Francia, l’Italia e Israele. Ma nelle realtà, l’intera economia è nelle mani rapaci degli oligarchi amici di Putin che non vogliono alcuna intromissione. Per aumentare la produttività servono delle riforme strutturali che però andrebbero a ledere il sistema di potere dell’oligarchia economica e quindi la situazione rimane congelata.
Un’altra fonte di tensione è l’enorme sperequazione esistente tra gli strati più poveri della popolazione e i super ricchi perché, se è vero che questo è un fenomeno mondiale soprattutto a causa del Covid-19, in Russia ha raggiunto livelli insopportabili. “Secondo una ricerca congiunta della Scuola Superiore di Economia e della banca statale VEB, la prima del suo genere, il 3% più ricco della popolazione possedeva nel 2018 l’89% di tutte le attività finanziarie. Stando a Forbes, poi, i primi 100 miliardari russi hanno un patrimonio complessivo superiore ai risparmi bancari dell’intera popolazione del Paese”. Le persone normali sono invece state costrette a fare debiti per tirare avanti, visto che l’esposizione dei russi verso le banche è aumentata del 22,4%. La disparità è anche geografica perché la ricchezza è concentrata soprattutto a Mosca, mentre le città con una popolazione di un milione o più abitanti avranno bisogno almeno di un secolo per raggiungere il livello di sviluppo economico della capitale.
A causa della fragilità della situazione economica, Putin è stato costretto ad accelerare la sua proiezione estera e la repressione interna e si sta muovendo verso la piena autocrazia. Ma, purtroppo, non è solo in tale processo perché in questo scorcio di XXI secolo la “democrazia –scrive Bagnoli- non gode di buona salute e la Russia di Putin, allora, per me diventa uno specchio delle nostre stesse mancanze, delle ipocrisie occidentali, laddove troppo spesso predichiamo bene ma razzoliamo malissimo”. Quale credibilità può avere una campagna in difesa dei diritti umani quando, spesso e volentieri, USA ed Europa applicano due pesi e due misure? “Vogliamo parlare –aggiunge l’autore- del malsano legame tra Occidente e Arabia Saudita? Riad, se applichiamo gli stessi metri di giudizio con cui valutiamo Mosca, dovrebbe essere seppellita di sanzioni. Invece no, è un alleato strategico del blocco democratico”.
Nel frattempo, lo zar sta lavorando con calma alla sua exit strategy. La nuova costituzione fatta approvare nel 2020 rafforza i poteri del presidente, ma anche il ruolo del Consiglio di Stato, a cui sono stati conferiti poteri in politica estera e interna. Che sia questa la posizione a cui pensa Putin una volta uscito dall’agone politico diretto? Potrebbe diventare una specie di “padre della patria” che elargisce saggi consigli ai futuri governanti. A scanso di equivoci, è stato anche approvato un emendamento che consente di non rispettare le sentenze internazionali nel caso la corte costituzionale le ritenesse in contrasto con la legge russa. Il nuovo zar non è certo un santo, ha sicuramente permesso che i servizi segreti, di cui è stato capo tra il 1998 e il 1999, assassinassero oppositori politici o oligarchi ribelli e usa il pugno di ferro contro tutti coloro che, a torto o ragione, ostacolano i suoi piani. Dovremmo però riflettere sulle parole pronunciate da Romano Prodi nel corso di un’intervista ai margini dell’Expo di Astana, capitale del Kazakhstan, nell’estate del 2017: “La sicurezza energetica dell’Europa dipende dalla Russia, la modernizzazione dell’economia russa dipende dall’Europa e noi stiamo spingendo Mosca tra le braccia di Pechino”.
Mattia B. Bagnoli
Modello Putin. Viaggio in un paese
che faremmo meglio a conoscere
People, pp. 448, 18 euro
Galliano Maria Speri