L’invasione ordinata da Putin ha scatenato una forte reazione occidentale che ha convinto USA ed Europa a sostenere la resistenza ucraina con l’invio di armamenti e l’accoglienza dei milioni di profughi che fuggivano dal conflitto. Ma, dopo un primo momento in cui si è cercata una soluzione diplomatica associata ai rifornimenti militari, si sta affermando una linea che non parla più di cessate il fuoco e negoziati ma di vittoria sui russi per minarne ogni velleità espansionistica. Questa è una politica pericolosissima che rischia di aprire scenari disastrosi per l’Europa che vedrebbe il proprio territorio trasformato in campo di battaglia nello scontro per procura tra Stati Uniti e Russia.
Probabilmente, la data del 24 febbraio 2022, il giorno in cui i carri armati russi hanno iniziato l’invasione dell’Ucraina, verrà indicata come uno spartiacque sui libri di storia e segnerà la fine dell’illusione europea di una pace solida e inattaccabile per i decenni a venire. L’orrore scatenato da Putin pone una sfida esistenziale all’Europa, non perché esista il pericolo concreto che l’esercito russo possa invadere altri Paesi dell’Est, come paventato da incompetenti cialtroni, ma perché il nostro continente rischia di essere trasformato nel terreno di scontro, senza nessuna voce in capitolo, dell’offensiva americana per ridimensionare definitivamente la Russia e ridurre la politica internazionale al solo confronto con la Cina, l’unica superpotenza in grado di competere con gli Stati Uniti a livello economico e, tra qualche anno, anche militare.
Ma quanto è pericoloso l’orso russo?
Dietro le parole d’ordine dell’aiuto militare all’eroica lotta del popolo ucraino contro l’invasore si sta concretizzando una strategia che punta a travasare risorse enormi nelle casse dei grandi produttori di armamenti, mentre si agita il pericolo che Mosca potrebbe ben presto minacciare la Polonia o i Paesi baltici. I fatti dimostrano però che si tratta di pura e semplice propaganda. Il 22 aprile 2022, in una località polacca ai confini dell’Ucraina, il segretario alla Difesa USA Lloyd Austin e il segretario di Stato Antony Blinken hanno tenuto una conferenza stampa congiunta. Austin ha esposto esplicitamente quali sono le intenzioni dell’attuale amministrazione: “Vogliamo vedere la Russia indebolita –ha dichiarato- al punto che non sarà più in grado di fare quello che ha fatto in Ucraina…finora ha perso molta capacità militare e soldati. La nostra intenzione è quella di impedire di ricostruire tali capacità”. Blinken ha riecheggiato la stessa linea mentre nelle dichiarazioni alla stampa del 25 aprile il segretario alla Difesa si è detto sicuro che l’Ucraina possa vincere la guerra contro la Russia “con armamenti adeguati e il giusto sostegno”.
Il 3 maggio 2022, rivolgendosi al Parlamento ucraino, il Primo ministro britannico Boris Johnson si è spinto anche oltre quando, usando lo stesso vocabolario di Churchill durante lo scontro con Hitler, ha denunciato le atrocità e i crimini di guerra delle truppe russe aggiungendo: “Nel Regno Unito faremo tutto il possibile per tenere conto di questi crimini di guerra. E in questo momento di incertezza, di continua paura e dubbio sul futuro, ho un messaggio per voi: l’Ucraina vincerà. L’Ucraina sarà libera“. Immaginiamo che Johnson, sotto la cappa degli scandali che hanno colpito il suo gabinetto, abbia gonfiato il petto d’orgoglio nel pronunciare queste parole così gravide di significato. Viene però da chiedersi per quale oscura ragione il governo inglese, così sollecito nello spedire armamenti a Kyiv, non abbia ancora approvato il protocollo per accogliere i profughi ucraini che vorrebbero fuggire dai bombardamenti russi ma vedono le proprie richieste bloccate da Londra.
La stampa anglo-sassone è molto orgogliosa del motto “i fatti separati dalle opinioni”. E allora guardiamoli questi fatti. Dopo oltre due mesi dall’inizio della guerra, la terribile macchina bellica russa ha mostrato tutte le sue carenze e inadeguatezze: problemi di comunicazione, armamenti obsoleti, scarso addestramento, logistica approssimativa, piani operativi superati, mappe non aggiornate. Non sembra proprio l’armata inarrestabile che possa marciare trionfante su Varsavia o Vilnius. Senza farsi troppo impressionare dai toni eroici di Johnson, l’Economist del 30 aprile parla di vero e proprio disastro militare. L’esercito di Mosca, definito “marcio” dall’autorevole settimanale britannico, ha avuto 15.000 caduti e i 1.600 veicoli distrutti. Secondo la rivista la Russia può essere un grande Paese ma è una potenza media che non può assurgere al ruolo di superpotenza. La popolazione sta tra quella del Bangladesh e del Messico, il Pil è tra quello del Brasile e della Corea del Sud, l’export si colloca tra quello di Taiwan e della Svizzera. Ricordiamo pure che il Pil italiano supera quello russo di quasi 500 miliardi di dollari.
Dobbiamo forse preoccuparci dei massicci investimenti nell’apparato bellico di Mosca?
Ufficialmente, la spesa per armamenti è di 62,2 miliardi di dollari per il 2021. L’International Institute for Strategic Studies (IISS) stima che la cifra reale potrebbe arrivare a 178 miliardi di dollari che, a causa delle dure sanzioni economiche imposte dall’Occidente, sono destinati a calare. Molto meno dei 754 miliardi di dollari investiti dagli USA, i 300 miliardi dei Paesi europei della NATO o i 332 di Pechino. Nel valutare la minaccia strategica dobbiamo anche considerare la situazione dell’economia. Secondo la Banca Mondiale, la Russia si è certamente ripresa dal collasso seguito al crollo dell’Unione Sovietica e ha visto il suo Pil salire dai 667 miliardi di dollari del 1998 fino a 1.416 miliardi (sempre al valore costante del dollaro del 2015) nel 2020. Poca cosa rispetto ai 19.435 miliardi degli USA, o ai 13.886 dell’Unione Europea. La Cina è passata dai 1.123 miliardi di dollari del 1991 ai 14.632 del 2020, con un aumento di tredici volte.
Interessi degli USA e interessi dell’Europa
Questa enfasi sulla minaccia globale rappresentata dalla Russia e l’assoluta necessità di aumentare gli investimenti nella difesa maschera l’assenza di qualunque strategia a lungo termine da parte delle Casa Bianca. Il tono durissimo usato in diverse occasioni dal presidente Biden potrebbe indicare la volontà dell’attuale amministrazione di fare la voce grossa per dimostrare all’elettorato conservatore che i democratici sono ancora più determinati dei repubblicani nel difendere gli interessi americani. A novembre ci saranno le elezioni di medio termine e gli analisti prevedono che i repubblicani rafforzino ulteriormente i loro rappresentanti al senato, indebolendo Biden ancora di più. È stata ormai messa in moto una macchina propagandistica che potrebbe contribuire a esacerbare la situazione fino ad arrivare a una vera e propria “guerra per procura” che vede contrapporsi Stati Uniti e Russia. Una delegazione di parlamentari statunitensi ha visitato Kyiv e ha lanciato appelli per aumentare a dismisura l’invio di armi agli ucraini, mentre James Heappey, viceministro della Difesa britannico si è detto favorevole all’uso delle armi inviate dal Regno Unito per “colpire in profondità le linee di rifornimento” di Mosca. Questo potrebbe però portare i russi a ritenere legittimo prendere di mira i convogli che trasportano gli armamenti, carri armati inclusi, anche all’esterno dell’Ucraina, con le conseguenza di escalation che possiamo immaginare.
Il 25 aprile 2022, nella base americana di Ramstein, in Germania, si è tenuto un vertice straordinario a cui hanno partecipato i ministri della Difesa di quaranta Paesi il cui scopo era quello di coordinare gli sforzi “per aiutare gli ucraini a vincere la battaglia contro la Russia”, secondo le parole del segretario alla Difesa USA. In pratica, si sta delineando lo scenario per una guerra prolungata, come si evince dall’intenzione di tenere incontri simili con cadenza mensile. Ma una guerra incancrenita nel cuore dell’Europa rappresenta una grave minaccia principalmente per il nostro continente. Quando i parlamentari statunitensi propongono con tono da gradassi di inviare aerei e carri armati moderni in Ucraina, a morire saranno i militari e i civili di Kyiv, non certo i marines. La richiesta di un embargo immediato verso il gas e il petrolio russi colpiscono l’economia europea, e non quella statunitense, che veda aprirsi la prospettiva di esportare in Europa il proprio gas liquefatto. Mostrando di aver i piedi per terra, il segretario al Tesoro USA Janet Yellen ha sconsigliato un taglio immediato delle forniture energetiche da Mosca, per gli eccessivi costi che ricadrebbero sull’economia del nostro continente.
Ogni giorno veniamo informati di massacri e bombardamenti, di atrocità contro civili inermi e di fosse comuni. Ai gemiti delle vittime e alle lacrime versate in silenzio, fa da terribile contraltare il silenzio assordante dell’Europa, vittima designata di un confitto che non sarebbe mai dovuto esplodere e che comporterà per noi enormi costi economici. Prontamente, la spietata macchina del “complesso militare-industriale” statunitense, ha sfruttato l’occasione offerta dall’azzardata mossa di Putin, col consenso del Congresso e della Casa Bianca. Ma in questo caso gli interessi europei e statunitensi divergono. È l’Unione Europea quella che, per politica strategica e contiguità geografica, ha tutte le motivazioni per intervenire e cercare di fermare i combattimenti per salvare vite umane e raggiungere un compromesso che ponga fine alle ostilità. Sia il francese Macron, presidente del Consiglio della UE fino a luglio, che l’italiano Draghi hanno timidamente parlato di una strategia per la pace ma senza troppa convinzione e incisività.
Putin, dopo lo smacco militare subìto nella fase iniziale dell’invasione, ha un bisogno disperato di successi sul campo che gli consentano di intestarsi una qualche vittoria e intende intensificare l’offensiva nel Sud dell’Ucraina. Gli Stati Uniti, incuranti delle vittime e dei profughi, che bussano alle porte dell’Europa, non certo a quelle americane, vedono con interesse la possibilità di far impantanare Mosca in un conflitto di lunga durata che potrebbe gravemente indebolirla, come avvenne per l’Afghanistan. Le conseguenze economiche della guerra sono già drammatiche, ma è a livello politico che l’Europa rischia di pagare un prezzo elevatissimo, che potrebbe rimettere in discussione tutti i progressi fatti nei decenni passati. Uno dei simboli usati dai coloni americani che si ribellavano contro il colonialismo britannico era un serpente fatto a pezzi, con la scritta Join or die, Unione o morte, ideato da Benjamin Franklin. Mai come ora lo stesso concetto dovrebbe essere afferrato dagli europei che rischiano non solo l’irrilevanza, ma la marginalizzazione definitiva dalla storia mondiale.
Galliano Maria Speri