La storia non si può fare con i se, ma è difficile negare che la guerra scatenata da Putin contro l’Ucraina affondi le sue radici nel fallimento della politica riformista della glasnost e della perestroika e nella strategia ottusa e predatoria con la quale l’America (facilitata dalla passività europea) cercò di trarre vantaggio dal crollo del comunismo sovietico. Accecato dal sogno di un mondo unipolare, l’Occidente non seppe cogliere una irripetibile opportunità per aiutare l’ex URSS a imboccare il tortuoso sentiero della democrazia. Per quell’errore, il mondo sta pagando oggi un prezzo terribile.
Il 30 agosto 2022 si è spento a Mosca quello che fu l’ultimo segretario del Partito comunista dell’Unione Sovietica, lo statista che tentò di riformare dall’alto la pigra e passiva società russa, e anche la pachidermica e autoritaria burocrazia comunista. Gorbaciov fallì miseramente, aprendo la strada a un periodo di profondissima crisi sociale ed economica che vide infine emergere la figura di Vladimir Putin, l’uomo forte che domina ancora, senza oppositori, il Cremlino. Questa non vuole essere un’analisi dell’operato di Gorbaciov, che avrebbe ovviamente bisogno di molto più spazio, ma una breve riflessione sugli errori fatti dall’Occidente (e soprattutto dagli Stati Uniti) nel corso della crisi e del successivo crollo dell’impero sovietico, senza riuscire ad elaborare una strategia di lungo termine che, una volta finita la Guerra fredda, avrebbe potuto aprire una lunga fase di pace e crescita economica per il mondo intero.
Quando la grande storia incontra piccoli uomini
Il comunismo crollò per le sue contraddizioni interne, per la sua inefficienza economica, per aver avviluppato le migliori menti del Paese in una oppressiva ragnatela di controlli burocratici che impedivano non solo l’opposizione politica ma anche la nascita di idee adeguate per disegnare il futuro. Gorbaciov percepì chiaramente i problemi e, ispirandosi alle democrazie rappresentative, tentò di trasformare una società che, purtroppo, era in grado di recepire il cambiamento solo in minima parte. Le varie amministrazioni statunitensi che si succedettero, prima e dopo il crollo del Muro di Berlino del novembre 1989, intravidero nel fallimento del comunismo non tanto la possibilità di chiudere definitivamente la Guerra fredda e aprire un’epoca di cooperazione Est-Ovest, quanto un’opportunità per allargare la propria sfera di influenza senza nessuna limitazione. L’affermazione economica e militare cinese, l’espansionismo imperiale russo, l’emergere di aggressive potenze autoritarie regionali come la Turchia o l’Iran, mostrano la tragica fallacia di quella illusione.
All’inizio degli anni Novanta del secolo scorso ci fu un breve dibattito sul peace dividend, il dividendo della pace, cioè le centinaia di miliardi di dollari che si sarebbero potuti risparmiare visto che era finalmente possibile ridurre le spese in armamenti. I più ottimisti arrivarono a ipotizzare un massiccio piano di investimenti nei Paesi in via di sviluppo, dove finalmente le spade si sarebbero potute trasformare in falci per mietere il grano. Un riflesso di questo periodo si ebbe nella primavera del 1991 quando Margaret Thatcher, Primo ministro della Gran Bretagna fino al novembre del 1990, volò a Mosca per incontrare Gorbaciov. Durante una discussione con Jack Matlock, l’influente ambasciatore USA in Russia, gli chiese di indurre il presidente Bush ad “aiutare Mikhail”, che incontrava una dura opposizione interna. “Sai –continuò l’ex premier- io e Reagan avremmo fatto di tutto per lui, ci ha fatto risparmiare almeno un centinaio di miliardi”. Ovviamente, chi non si entusiasmava per la prospettiva della drastica riduzione degli armamenti e dell’ipotetico scioglimento della NATO era la potentissima lobby americana che il presidente Eisenhower aveva definito “complesso militare-industriale”.
Durante il doppio mandato di Bill Clinton (1993-2001), non solo il peace dividend scomparve dal dibattito pubblico, ma venne completato il processo di finanziarizzazione dell’economia USA iniziato sotto la presidenza Reagan (1981-1989). La rapacità finanziaria divenne la filosofia egemonica e, ignorando qualunque considerazione strategica, l’ex Unione Sovietica venne vista come un succoso osso da spolpare. L’idea di sostenere la minoranza russa favorevole alla democrazia venne definitivamente abbandonata e gli economisti statunitensi inviati a Mosca non mossero un dito per evitare che il processo di privatizzazione si trasformasse in un saccheggio delle risorse del Paese. La crisi dei mutui sub-prime del 2008, che dagli Stati Uniti finì per colpire tutto il mondo, dimostrò empiricamente quanto fosse pericolosa l’alleanza tra la finanza speculativa e gli interessi dell’industria militare.
Non dobbiamo meravigliarci allora che il Global Times, il tabloid in lingua inglese che riflette le idee degli ultranazionalisti del Partito comunista cinese, abbia scritto che: “Gorbaciov è una figura tragica che ha soddisfatto i bisogni di USA e Occidente”. “Venerare ciecamente il sistema occidentale –è la tesi del giornale- ha fatto perdere indipendenza all’Unione Sovietica e il popolo russo ha sofferto di instabilità politica e di gravi pressioni economiche, fatti che la Cina ha considerato un grande avvertimento e una lezione da cui trarre insegnamento per la propria governance”. L’articolo termina con un riferimento alla situazione attuale: “Negli ultimi dieci anni, il leader russo Vladimir Putin ha imparato dalle lezioni del leader sovietico”.
L’eredità di Gorbaciov
L’ex Cancelliera tedesca Angela Merkel ha reso omaggio all’ultimo segretario del Pcus affermando: “Ha scritto la storia del mondo e ha cambiato la mia vita in modo fondamentale. Non lo dimenticherò mai”. Cresciuta nell’ex Germania comunista, Merkel ha ricordato commossa: “Ancora oggi posso sentire la paura che avevo nella DDR nel 1989, temendo l’arrivo dei carri armati come nel 1953. Ma questa volta, nessun carro armato si è mosso, nessun colpo è stato sparato”. Il grande merito storico di Gorbaciov fu quello di aver consentito la riunificazione pacifica della Germania e aver accettato che questa rimanesse all’interno della Nato, dando per scontato che non ci sarebbe stata nessuna espansione verso Est. Quindi il Nobel per la pace che gli fu conferito nel 1990 è certamente molto più meritato di quello di Barak Obama. Gorbaciov non riuscì però a realizzare le riforme che aveva intravisto e fu solo con la presidenza di Boris Eltsin, e la consulenza di economisti americani, che vennero messe in pratica in modo selvaggio, con costi sociali altissimi.
Le brutali privatizzazioni di Eltsin permisero la nascita degli oligarchi, spesso ex burocrati
comunisti, ma anche il progressivo accentramento del potere nelle mani di Putin che, di fronte al pericolo di disgregazione del Paese, usò le maniere forti per ricreare un’autorità centrale che finì con il coincidere con la sua persona. Secondo Gorbaciov, la strategia del Cremlino rischiava di andare oltre il lecito. “Non credo sia la strada giusta, lo dico apertamente”, dichiarò nel 2014 l’ex segretario del Pcus. E l’ultima volta che l’anziano leader aveva parlato delle relazioni tra Russia e Ucraina, per quanto riguarda le dispute territoriali tra i due Paesi, era stato molto chiaro: “Non si può nemmeno immaginare una guerra. Un conflitto tra Russia e Ucraina sarebbe un’assurdità”.
L’uomo che aveva pianificato di portare all’ONU un documento di una sola pagina su cui era scritto “Vietare la guerra” lascia pochissime tracce nella Russia di oggi, anche perché nel 1991 nessuno in Occidente capì quanto sarebbe stato importante per gli interessi della pace che Mosca fosse governata da un uomo come Gorbaciov. Nel ricordare le carenze e le ingenuità dell’ex segretario del Pcus, dovremmo anche sottolineare la meschinità e la piccolezza di quei politici statunitensi ed europei che mancarono totalmente di visione e di coraggio.
Galliano Maria Speri